Si è aperto a Brindisi un nuovo capitolo della saga giudiziaria di Enel contro Greenpeace. Il colosso dell'energia si è infatti costituito parte civile al processo che vede imputati 13 attivisti che nel 2009 avevano manifestato pacificamente davanti alla centrale a carbone Federico II di Cerano, l'impianto più inquinante d'Italia.
Martedì si è aperto a Brindisi un nuovo capitolo della saga giudiziaria di Enel contro l’associazione ambientalista internazionale Greenpeace. Questa volta imputati sono 13 attivisti, tra cui un italiano, che nel 2009, in occasione del G8 avevano manifestato pacificamente dinanzi alla Centrale Federico II di Cerano.
Quattro di questi si erano arrampicati sulla ciminiera più alta della centrale dipingendo a caratteri cubitali la parola “Stupids”, un monito ai grandi del mondo riuniti a L’Aquila con il chiaro intento di ottenere la riduzione delle emissioni di anidride carbonica.
Gli attivisti sono accusati di violazione di domicilio e interruzione del servizio mentre Enel, costituitasi parte civile, ha chiesto in prima battuta 200 mila euro di risarcimento a fronte di una richiesta complessiva di 1,2 milioni di euro. Da anni Greenpeace sostiene che le centrali a carbone di Enel siano la principale fonte di emissione di gas serra in Italia.
Nel 2011 infatti, l’Agenzia Europea per l’ambiente ha stabilito che la centrale a carbone Federico II è l’impianto industriale più inquinante d’Italia,
diciottesimo nell’Unione, con 119 morti premature all’anno e danni economici compresi tra i 536 e i 707 milioni di euro. Dati di cui il colosso energetico non ha mai risposto nel merito. Ma non è la prima volta che Enel va alla sbarra contro Greenpeace.
“L’azienda, per il 31 per cento controllata dallo Stato - specifica l’associazione in una nota - ha scelto la strada della 'guerriglia legale' e finora ha già perso due volte: la Magistratura ha decretato come i dati sostenuti da Greenpeace siano veridici e fondati e come i modi e le forme della sua campagna siano legittimi e commisurati alla gravità delle denunce”.
Il 7 maggio infatti, anche il Tribunale di Milano, dopo quello di Roma, ha rigettato un ricorso di Enel contro una campagna di sensibilizzazione di Greenpeace. Il colosso chiedeva infatti i danni per l’uso del loro logo sia nella campagna “bollette sporche”, che riportava i danni sanitari dovuti all’uso di carbone nelle loro centrali, sia per aver fatto una pubblicità falsa nella finta copia di Metro distribuita dagli attivisti prima delle elezioni. I giudici hanno però ritenuto l’uso del logo legittimo.
Nella nota Greenpeace ha chiesto infine ad Enel di “ritirare ogni progetto di nuova centrale a carbone in Italia, di dimezzare la sua produzione elettrica col carbone entro il 2020, fino a portarla a zero entro il 2030, di sostituire questa quota di produzione con energia pulita dalle nuove fonti rinnovabili, con le quali Enel, oggi, produce in Italia meno del 2 per cento della sua elettricità”.
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