“E’ uno studio di importanza epocale – ha detto Gidon Eshel, geofisico del Bard College di Annandale-On-Hudson, New York, che analizza da tempo come l’alimentazione umana influisca sull’ambiente ma che non ha preso parte allo studio stesso – Ora possiamo affermare che se si mangia una bistecca, si uccide un lemure in Madagascar o se si mangia un pollo si uccide un pappagallo in Amazzonia». E ciò accade perché gli habitat naturali sono stati convertiti in pascolo o terreno su cui allevare animali in maniera intensiva. Già altri studi avevamo analizzato l’impatto del consumo di carne e prodotti animali sui cambiamenti climatici, l’inquinamento dell’acqua, la diminuzione di certi erbivori e dei predatori maggiori, ma lo studio condotto dal team di Brian Machovina, ecologo docente alla Florida International University di Miami, analizza dettagliatamente l’impatto sulle altre specie animali. I ricercatori hanno esaminato le aree che accolgono le più alte percentuali di piante ed animali endemici, la maggior parte delle quali si trova nelle zone tropicali. Hanno poi valutato le nazioni che stanno ampliando le attività di allevamento e hanno quindi determinato la superficie di terreno perduta e dedicata a coltivazioni destinate all’alimentazione animale. Utilizzando i dati della Food and Agriculture Organization, altri studi sulla produzione di bestiame, maiali e polli nelle nazioni prese in esame dal 1985 a 2013 e la quantità di terra che gli allevamenti richiedevano, i ricercatori hanno estrapolato l’ampliamento futuro dei terreni destinati allo scopo e hanno creato delle mappe. Molte delle aree dove i terreni si sono trasformati da foreste in terra da allevamenti si trovano in 15 paesi ad altissima concentrazione di biodiversità.
“Nel 2050, se si continua con questo trend – ha detto Machovina – in questi paesi le terre usate per il bestiame aumenteranno dal 30 al 50%, circa 3 milioni di chilometri quadrari”. La perdita di habitat naturali sarà così enorme che causerà più estinzioni di specie di qualsiasi altro fattore, soprattutto dal momento che gli allevamenti intensivi sono anche legati ai cambiamenti climatici e all’inquinamento dell’ambiente. La deforestazione in Amazzonia, per esempio, continua rapidissima: quasi 1900 chilometri quadrati di foresta vengono distrutti ogni anno. Più di metà del Cerrado amazzonico, la savana arbustiva con un ecosistema delicato e ricchissimo, è già stato spianato per far posto ad allevamenti di bestiame e coltivazioni di soia. In America Latina e Centrale sta accadendo la stessa cosa, così come in Africa. Lo studio suggerisce anche potenziali soluzioni. I ricercatori raccomandano di limitare il consumo di carne al 10% delle calorie ingerite, di mangiare più frutta e verdura, di sostituire il manzo con maiale, pollo o pesce e di cambiare le pratiche di allevamento. Abbiamo un’unica strada per salvare noi stessi e l’ambiente: nei paesi dove oggi si mangia più del necessario e male, occorre mangiare meno e in maniera più sostenibile, cioè privilegiano i cibi di origine vegetale.