Caro Michele,
che bello che tu mi abbia scritto questa lettera... Mi piace ascoltarti e sono felice che tu abbia pensato proprio a me. Ho letto molte volte le tue parole e ad ogni passo sei stato capace di portarmi verso profondità che fanno paura e farmi risalire attraverso le maglie della tua sensibilità a guardare i profili ormai lontani e dolorosi di quelle montagne che chiamiamo fallimenti.
Sono stata in silenzio ad ascoltare tutta la tua rabbia. Lo considero un privilegio. Sono brava, io, a farmi talmente grande da contenere la rabbia immensa delle persone ferite. Dev'essere il mio talento. E so che l'ascolto è la cura. L'ho fatto altre volte e stasera voglio farlo per te. Sono stata in silenzio ad ascoltare tutta la tua stanchezza, vedendo con i miei occhi ogni singola immagine di quelle che descrivi così bene.
Ho sentito nelle tue parole, tutto il dolore del mondo.
Fai bene a dire di non pretendere niente da questa realtà perché questa realtà deve essere aggiustata, guarita, profondamente cambiata. Fai bene a dire che non si può pretendere un lavoro perché possiamo e dobbiamo essere noi stessi il lavoro di domani. Ci hanno convinto che qualcun altro debba darcelo, che debba pensare per noi, legandoci a doppia corda mani, piedi, pensieri e sogni fino a quando sarà troppo tardi per vivere la nostra vita.
Fai bene a dire che sei stato tradito. E' vero che non meritavamo il mondo che ci è stato consegnato. E' vero che ci è stata tolta la forza, la prospettiva, l'entusiasmo. E' vero che le basi su cui è stato costruito il mondo in cui siamo nati sono fatte di sabbia, pronte a crollare sotto la forza delle prime onde o del primo vento che si alza inaspettato.
Ma siamo anche noi quelle stesse, fragilissime basi su cui abbiamo costruito sogni, pensieri, prospettive e speranze che non sono neppure le nostre se mai ci sono appartenute. Ci hanno costretto a pensarci e a sentirci soli quando siamo nati per unirci e per chiederci aiuto. Ci hanno convinto che la nostra dignità sia legata alla nostra identità di esseri lavoranti e producenti di beni per la maggior parte inutili o dannosi all'universo che abbiamo dentro e fuori di noi. Tu non hai bisogno di darti un senso perché un senso già ce l'hai. La dignità ce l'hai cucita addosso e nessun sistema se ne può appropriare. Né ora né mai.
Fai bene ad essere stanco di sprecare sentimenti. Ho amato tantissimo anch'io. Ho desiderato profondamente anch'io sprecandone e sprecandomi senza ragione. Al punto tale da sentirmi divorare da un dolore che ti costringe a ridurre giorno dopo giorno il tuo sguardo sul mondo, sugli altri e su te stesso fino al punto di renderti fatalmente distratto. So bene di cosa stai parlando. Conosco il suono attutito e sordo dei no che non hai bisogno di ascoltare, pesanti come pugni che tolgono il respiro. Quelli che ti portano a spolverare ogni giorno i pensieri di morte sugli scaffali ordinati accanto alla scrivania. Ci hanno proposto modelli a due strade: fallimenti e successi. Catene, nient'altro che catene.
Fai bene a dire che non si può pretendere l'amore perché non è così che ne avrai. E quando penserai di averlo trovato, quell'amore che avevi riconosciuto come parte di te potrà finire. E quando sarà finito, ne troverai un altro pronto a nascere che a sua volta ti riempirà di incertezze, forze, fragilità e meraviglie. Chi ci ha detto il contrario ci ha mentito.
Fai bene a sentirti stufo di provare a immaginare cosa si prova a vincere. Perché finché ci sarà qualcuno che vince ci sarà qualcun altro che perde. Perché questo giro di giostra quelli che perdono siamo io e te ma non troveremmo il sollievo agognato sul podio illusorio e fragile dei vincenti.
Esistono luoghi che non conosci dove i sogni possono essere cullati invece che sbeffeggiati, dove la solitudine è compagna di altre solitudini e dove il dolore può essere accolto, lavorato, diluito e trasformato. Esistono luoghi dove le lacrime sono trofei e la paura e la rabbia compagni di viaggio presenti e costanti non meno delle mani tese pronte a sorreggerti. Esistono quei luoghi fatti di umani imperfetti che possiamo iniziare a costruire. Se solo ci credessimo, io e te. Se solo avessimo il coraggio di alzare una mano, di chiedere aiuto, di proporre senza temere il rifiuto. Di considerare i nostri fallimenti nient'altro che crisalidi.
Fai bene a dire che il modello unico non funziona. Possiamo quindi immaginare nuovi modelli possibili creati su altri presupposti.
Cambiamo le domande, non sono quelle, Michele, non sono quelle. Cambiamole tutte e forse ci accorgeremo che eravamo condannati a non trovare le risposte proprio perché erano le domande ad essere sbagliate.
Hai fatto bene a scrivermi e a chiedere aiuto. Grazie. La tua lettera è stata uno specchio potentissimo che non smette e non smetterà di riflettere. Questo te lo prometto.
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