di
Daniela Sciarra
20-07-2011
300 mila ettari in meno di superficie coltivata in dieci anni, mentre chiudono i battenti il 32% delle aziende agricole. I dati Istat relativi all'ultimo Censimento agricolo non possono passare inosservati: è necessaria una riflessione per molti rappresentanti del settore.
Non stupiscono i dati dell’Istat relativi all’ultimo Censimento agricolo, perché descrivono processi che sono in atto ormai da molti anni, eppure preoccupano - o quantomeno dovrebbero farlo - perché ci restituiscono un quadro non positivo dell’agricoltura: in affanno e con molta fatica cerca di riprendersi dalla crisi economica. A perdere colpi è il sistema agricolo inteso come settore primario. Quell’ingrediente indispensabile che fa smuovere gli ingranaggi dell’industria alimentare, e l’elemento basilare che dà corpo alla dieta mediterranea e forma alla nota piramide alimentare.
Dal 2000 al 2010 il 32,2% delle aziende ha chiuso i battenti, nella maggior parte dei casi si tratta di piccole aziende che non hanno le difese economiche necessarie per tutelarsi dalla crisi economica e da regole di mercato che sono fatte per i grandi e non per i piccoli. Eppure sono proprio le piccole aziende che si difendono a denti stretti dalla crisi e producono in nome della qualità, della difesa del territorio, delle piccole economie locali e che contribuiscono a tenere in vita i piccoli comuni montani e le aree rurali. È in queste aree le l’agricoltura ancora ricopre un’importante funzione sociale. E mentre il numero delle aziende si contrae, a crescere, anche se di molto poco, è la loro taglia. Un’azienda oggi misura circa 7,9 ettari rispetto ai 5,5 ettari di 10 anni fa.
Siamo di fronte - commenta Andrea Ferrante presidente di AIAB - a una pesante perdita della superficie agricola utilizzata pari a 300 mila ettari, a una perdita di superficie aziendale totale di un milione e mezzo di ettari; nonché in presenza di una gravissima perdita del numero delle aziende, che negli ultimi dieci anni si sono ridotte di circa un terzo (-32,2%). Numeri – aggiunge Ferrante - che non denunciano solo una radicale ristrutturazione del settore primario, ma che puntano il dito verso un vero e proprio abbandono delle zone rurali, verso una erosione di terre fertili per un mal concepito uso del suolo e, soprattutto, verso una politica incapace di investire nell'agricoltura e nella preziosa opera di presidio del territorio che le aziende agricole offrono alla collettività.
Sul fronte dell'abbandono del territorio, conclude Ferrante, la situazione è particolarmente grave in regioni come la Liguria, la Valle d'Aosta e il Friuli Venezia Giulia – caratterizzate da una grande vulnerabilità idrogeologica, dove la presenza di tessuto agricolo è fondamentale - che negli ultimi dieci anni hanno visto rispettivamente una contrazione delle aziende del 46,1, del 41,2 e del 33%.
Oltre la metà della superficie agricola utilizzata (SAU) totale (54,1%) è coltivata da grandi aziende con almeno 30 ettari di SAU (5,2% delle aziende italiane), mentre nel 2000 quelle al di sopra di questa soglia dimensionale coltivavano il 46,9% della SAU ed erano il 3% del totale. Le aziende con meno di 1 ettaro di superficie agricola utilizzata diminuiscono del 50,6% e rappresentano nel 2010 il 30,9% del totale delle aziende agricole italiane, mentre erano il 42,1% nel 2000.
Bisognerebbe leggere questi dati guardando all’agricoltura come un settore che va tutelato e incoraggiato, perché contribuisce a tenere viva la nostra cultura mediterranea, ma anche i nostri paesaggi, la biodiversità agraria e paesaggistica della macchia mediterranea, contribuendo così a far apprezzare il nome dell’Italia che è il Paese europeo con il maggior numero di prodotti tipici certificati.