di
Mario Apicella
08-11-2011
Come recuperare il cibo naturale che sparisce ed evitare il cibo finto che tutto avvolge. Dissertazioni agronomiche per stimolare il decollo della rete agroalimentare alternativa.
Un affettuoso saluto a tutti,
sono Mario Apicella, un cantautore barese dalla folta capigliatura, costretto a lasciar perdere la chitarra per non essere confuso con chi ha pochi capelli, poca vocalità e nessuna fantasia.
Durante gli anni settanta si imparava a controbattere (così come avveniva in tutte le Università dell’Europa occidentale) come minoranza attiva, attraverso giornali ciclostilati, quanto veniva propinato dai professori ad una intera generazione di studenti.
In ambito agroalimentare era già evidente che:
- gli antiparassitari e gli insetticidi di nuova produzione, che dovevano salvare l’agricoltura, erano tutti cancerogeni;
- il DDT, diventato uno dei primi insetticidi fuori legge nel nostro emisfero, ritornava sulle nostre tavole tramite il pesce pescato a largo dei paesi in cui la malaria era invocata come un logico motivo di revoca del divieto;
- la normativa nazionale ed internazionale sul cibo era fortemente condizionata dai gruppi di potere economico, per cui ad esempio un olio di oliva “lampante” (buono solo per le lampade ad olio) rettificato chimicamente e addizionato dell’1% di olio extravergine, poteva essere etichettato come “Olio di oliva”;
- i limiti ammessi dall’Oms per gli anti parassitari nel cibo non prendevano in considerazione l’effetto che le diverse dosi nei diversi prodotti trattati e ingeriti avrebbero avuto sugli organismi delle cavie;
- la biodiversità era seriamente compromessa dalle monocolture industriali, dai brevetti sulle sementi selezionate e dall’uso sconsiderato della chimica.
Erano gli anni in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità e la stessa FAO (Food and Agriculture Organization) venivano additate come organizzazioni sospette.
Sono passati trent’anni e le cose sono ovviamente peggiorate con la classica aggiunta della beffa al danno, per cui:
- la generazione di studenti, futuri agronomi di allora, oggi insegna, fa consulenza nelle aziende agricole o nelle associazioni di categoria consigliando prodotti chimici a tutto spiano e sconsigliando di produrre biologicamente il cibo, per il semplice motivo che non gli è mai stato insegnato altro;
- le Università, abbandonate dai finanziamenti pubblici, vengono sempre più foraggiate solo ed esclusivamente dalle multinazionali farmaceutiche per cui sfornano continuamente studi sull’efficacia di questo e di quell’altro prodotto chimico;
- le percentuali più alte di morte per cancro sono registrabili proprio tra i contadini usati come cavie e poi accusati di non rispettare le norme di sicurezza;
- il DDT permane sulle nostre tavole insieme a tantissime sostanze ancora più tossiche;
- la normativa continua ad essere artefatta dai gruppi di potere economico permettendo di non dichiarare la presenza di Ogm; non rilevare la tracciabilità dei pesticidi; utilizzare diciture fuorvianti; obbligare (a titolo di esempio) chi fa agricoltura biologica a non raccogliere le proprie produzioni al confine con chi non fa agricoltura biologica anziché utilizzare una logica contraria (non far trattare chimicamente i terreni e le produzioni che confinano con aziende bio);
- i limiti ammessi per le sostanze tossiche variano di anno in anno e da nazione a nazione come se subissero delle maldestre quotazioni, per crollare definitivamente ogni dieci-dodici anni ed essere definitivamente ritirate dal commercio;
- nel giro di pochi decenni le risorse genetiche autoctone sono diventate irrilevanti per le economie locali e spesso irrilevabili dalle consuete ricerche pseudoscientifiche;
- i semi non possono essere scambiati tra gli agricoltori e se ne inibisce con grande insistenza lo stesso riutilizzo in azienda;
Sembrerebbe tutto buio e nero, dai capelli che alcuni pseudo cantanti continuano a perdere alla biodiversità che continua ad essere trascurata ed eliminata nell’intero pianeta.
Eppure, una volta seminato l’antico seme della diffidenza attenta…
- la minoranza che protesta chiedendo di cambiare rotta è in continuo aumento;
- aumentano le produzioni naturali, certificate o spontaneamente gestite;
- sono in aumento la sensibilità ad un alimentazione corretta e l’attenzione verso tutto quanto venga prodotto in modo naturale e possieda una storia legata al territorio;
- aumenta la voglia di produrre da soli il pane e gli ortaggi;
- aumenta la consapevolezza che lo slogan 'ti nutro e ti curo' ha fruttato montagne di miliardi alle case farmaceutiche impoverendo tutti i popoli;
- il baratto di prodotti e lo scambio lavoro diventa sempre più praticabile e praticato.
Serve allora raccogliere ed armonizzare le nostre forze uscendo allo scoperto per diventare una rete reale, una vera rete che sappia riconoscersi, connettersi e comunicare. Serve sapere tutto di noi, sapere cosa, come e dove produciamo.
Su questa onda e con queste distonie armoniche la rubrica che parte si snoderà per stimolare una metodologia del semplice, una filosofia del ricercare (nutrimenti), una pratica del lasciar perdere (ciò che è finto e tossico ad esempio). Perché se è vero che la frutta di un tempo era davvero saporita e profumata e stranamente non si ammalava neanche tanto, ma purtroppo non si trova più in commercio, è anche vero che in rete, in ogni regione, c’è chi ne ha scoperto i nascondigli che ancora la proteggono
Se è vero che il grano di un tempo è stato selezionato per centinaia e centinaia di anni al fine di essere innanzitutto digeribile e quindi saporito, panificabile, facilmente coltivabile, produttivo e conservabile, ma purtroppo non è più coltivato, è anche vero che ci sono tantissimi coltivatori custodi che ancora lo moltiplicano, lo curano, lo macinano, se lo scambiano…
Se è verissimo che nelle farmacie sono introvabili, fosse anche solo per i bambini, prodotti bio, mentre i supermercati e le botteghe sono pieni di 'ritorni alla natura', 'fermenti lattici vivi', 'lievitazioni naturali', 'salumi senza nitrati', 'bevande senza zucchero' e persino 'polli allevati all’aperto', è anche vero che nel cuore di tanti bravi contadini e meravigliose contadine c’è ancora il ricordo di come si chiamava quel frutto, di come si usava quella farina, come si produceva quel seme, come si conservava quell’ortaggio, mentre nel lavoro di tanti appassionati c’è il fiero comportamento di chi sta lavorando per lasciare ai propri figli un cibo migliore.
Intorno a questi cuori la nostra nuova rubrica vi inviterà a danzare.
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