di
Andrea Degl'Innocenti
14-07-2011
Dopo aver detto 'no' alle privatizzazioni e ai guadagni sull'acqua, i cittadini italiano in un sondaggio manifestano un rinnovato rapporto con l'acqua: sempre di più preferiscono il rubinetto alla bottiglia. Intanto i poteri forti si muovono per vanificare gli effetti dei referendum e continuare a lucrare liberamente sulla preziosa risorsa.
Passa per vari punti il rinnovato legame che i cittadini italiani stanno stabilendo con l'acqua. Per i referendum, attraverso i quali l'hanno dichiarata fuori dal mercato e dalle mani dei privati. Ma anche per il consumo sempre maggiore di acqua del rubinetto, che ci toglie l'odioso primato di maggiori consumatori al mondo di acqua in bottiglia.
È di pochi giorni fa lo studio pubblicato da Istat e Acqua Italia secondo cui il 74 per cento degli intervistati ha dichiarato di bere l'acqua 'del sindaco', con un incremento di quattro punti percentuali rispetto al 2006, mentre un buon 46 per cento ha sostenuto di berla 'sempre'. Un cambiamento di tendenza, che vede in netto calo le acque minerali, che sono passate dal un 2000 in cui il 67,6 per cento del campione dichiarava di berle, ad un 2009 in cui le bevono solo il 63,4.
I motivi di questo cambiamento sono svariati, dal gusto – testimone di un miglioramento progressivo delle qualità organolettiche dell'acqua potabile – ai maggiori controlli rispetto all'acqua minerale, al risparmio, al minor impatto ambientale.
Tutte ragioni valide, che riconducono ad un nocciolo centrale: gli italiani stanno prendendo a cuore la propria acqua. Non la vogliono disperdere, non la vogliono inquinare, non vogliono che nessuno ci guadagni sopra. La preferiscono pubblica e al giusto prezzo. Ecco così che i referendum dello scorso giugno ed il consumo crescente di acqua del rubinetto diventano le due facce della rinata sensibilità verso il tema dell'acqua.
Non tutti, però, la pensano così. Chi fino a ieri gongolava per i succosi guadagni che l'acqua gli garantiva non capisce perché d'un tratto dovrebbe tirarsene fuori. Tremano i produttori di acqua in bottiglia, che sentono avanzare proposte terribili, come quella – contenuta nella legge di iniziativa popolare sull'acqua del 2008 ora in discussione alla Commissione ambiente della Camera dei Deputati – di tassare maggiormente chi si appropria delle acque minerali alla sorgente per imbottigliarle (oggi si paga una cifra irrisoria al demanio) e di bloccare le nuove concessioni. E i gestori privati di gran parte della rete idrica italiana non sono certo intenzionati a farsi da parte né a rinunciare a quel 7 per cento di guadagno garantito che il secondo quesito referendario ha abrogato.
Proprio la questione del 7 per cento è una delle più accese. Prima dei referendum appariva come il quesito di più facile e immediata applicazione. Nell'idea dei referendari la percentuale di guadagno sarebbe stata facilmente scorporata dalla bolletta, dunque fin da subito le nuove bollette se ne sarebbero presentate prive. Ma ciò non è accaduto. I gestori, appellandosi a varie scusanti che poco hanno a che fare con la volontà popolare espressa dai referendum, si sono letteralmente rifiutati di procedere allo scorporo. Neppure la nuova legge regionale pugliese approvata dalla giunta Vendola rinuncia al 7 per cento di guadagno garantito.
C'è poi il dibattito sulle privatizzazioni, con il governo che annuncia pubblicamente che procederà ad accelerarne il corso per porre rimedio alla devastante crisi economica che incalza e scongiurare il fallimento dietro l'angolo. “Daremo un segnale ai mercati", ha dichiarato Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl al Senato. Pur con l'eccezione dell'acqua, è stato precisato, per 'rispetto' delle decisioni emerse dai referendum. Si è però glissato sul fatto che il primo quesito non riguardava esclusivamente l'acqua ma tutta una serie di servizi che coinvolgono la gestione dei rifiuti e i trasporti. E nell'elenco di aziende segnalate da Repubblica come oggetto delle future privatizzazioni imposte dal governo compaiono, oltre ad Eni, Enel e Finmeccanica, proprio le municipalizzate.
Reagire alla crisi economica con le privatizzazioni è un atteggiamento tipico dell'odierno 'regime' neoliberista. Talmente tipico da diventare un assioma incontraddicibile. Sebbene esistano esempi che testimoniano il contrario, quello islandese su tutti, il paradigma delle privatizzazioni è ben lungi dall'essere sconfitto. Viene il sospetto che l'attacco della finanza internazionale al nostro paese dei giorni scorsi sia stato una sorta di ritorsione dei poteri forti e delle multinazionali contro questo movimento popolare di riappropriazione dei beni comuni che passa anche attraverso il nuovo legame con l'acqua.
Un avvertimento che sta a significare “non toccate i nostri interessi, altrimenti faremo fallire l'intera nazione”. Fosse vera questa ipotesi rimarrebbe un aspetto che i poteri forti non hanno considerato: se fallisse l'Italia si trascinerebbe dietro l'Euro e l'Europa e di conseguenza gran parte dell'economia mondiale.
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