di
Romina Arena
16-02-2011
Una generale mobilitazione della società civile colombiana sta mettendo a nudo la spoliazione delle risorse presenti nel paese ad opera del capitale transnazionale. Una battaglia per la difesa del territorio, della sua diversità e della sua rete idrica, diventa anche una lotta per la dignità delle popolazioni indigene.
Cresce in Colombia la mobilitazione sociale contro lo sfruttamento delle miniere che sono in mano a compagnie straniere e che hanno conferito al Paese il triste primato del più contaminato di mercurio al mondo.
Denunce che non arrivano oggi, ma sono endemiche della situazione sociale ed economica di un Paese che occupa un posto a parte nel mondo per la ricchezza della sua biodiversità.
La Colombia conserva anche le più grandi riserve carbonifere dell’America latina, oltre al platino, all’argento, al nichel, agli smeraldi, al rame, al ferro, manganese, piombo, zinco e titanio. Per non parlare del sale terrestre e marino, ghiaia, sabbia, calcare, zolfo, talco, gesso. Una terra ricchissima sotto, per una popolazione poverissima sopra.
È chiaro che nella logica di mercato che fa della depredazione il suo dogma inconfutabile, in molti hanno tentato e tentano di mettere le mani su quelle ricchezze.
Il capitale straniero firmato GreyStar Resources, una compagnia estrattiva canadese, con la promessa allettante di denaro, sviluppo, posti di lavoro e benessere ha portato avanti il cosiddetto Proyecto Minero Angostura, destinato all’attività di estrazione di oro e argento nella regione del Páramo di Santurbán, nel dipartimento settentrionale di Santander.
Si tratta di un’attività condotta a cielo aperto, che avrà la durata di quindici anni ed alla quale la Federazione Nazionale dei Commercianti (Fenalco) ha già opposto i propri argomenti, paventando il rischio di contaminazione della ricchezza idrica della regione. La Fenalco, fortunatamente, non è sola in questa battaglia: ad essa aderiscono anche la Sociedad Santandereana de Ingenieros, la Sociedad de Mejoras ed altre organizzazioni sociali ed ambientali.
Uno sforzo, questo, portato avanti congiuntamente alla perseveranza degli ecologisti del dipartimento centrale di Tolima che lottano contro l’intervento dell’impresa sudafricana Anglo Gold Ashanti, nel municipio di Cajamarca.
Un ex ministro dell’ambiente, Manuel Rodríguez, mette in guardia dalle rassicurazioni che vengono dalla GreyStar, secondo la quale il progetto non arrecherebbe alcun danno all’ambiente. Durante il suo mandato, infatti, lo stesso Rodrìguez ottenne rassicurazioni analoghe dalla Compagnia Drummond installatasi nel dipartimento nord di Cesar per estrarre carbone e che dietro di sé ha invece lasciato pesanti danni ambientali uniti a gravissime violazioni dei diritti umani ai danni della popolazione del luogo e dei minatori che prestavano il loro servizio per le attività estrattive.
La campagna di sensibilizzazione delle organizzazioni impegnate in questa battaglia verte soprattutto sulla volontà di far conoscere i danni prodotti dalle attività estrattive su una rete idrica forte di 160 fonti di acqua ed ecosistemi fluviali, brughiere, boschi di nebbie e forestali. La diffusione delle informazioni, coadiuvata anche da programmi radio e spazi televisivi, ha prodotto mobilitazioni sociali nei Páramos di Nuevo Colón e Vijagual nel dipartimento di Boyacá e l’interessamento alla battaglia da parte della popolazione indigena Embera (o Emperã) contro l’estrazione di oro nel Cerro Carrepero da parte della Compagnia nordamericana Muriel Mining.
Analoghe mobilitazioni si sono verificate a sud di Bogotá contro interventi a rischio contaminazione portati avanti dall’Esercito in zone della Scuola di artiglieria, dalla diocesi cattolica di Bogotá con la sua Fondazione San Antonio e da Compagnie transnazionali come la messicana Cemex e la svizzera Holcim.
Del resto, le azioni della popolazione hanno la totale protezione della Corte Costituzionale che ha emesso una sentenza “a favore degli indigeni, dei contadini, dei neri e degli altri cittadini che si oppongono agli interventi minerari con valore e dignità”.
La Colombia ha concesso 10.000 titoli minerari di cui 4.000 sono già stati resi attivi con l’inizio delle attività estrattive che però procedono senza il sufficiente controllo del governo. Una mancanza riconosciuta dalle stesse autorità che affermano di poter disporre soltanto di quaranta funzionari preposti alla verifica dei controlli minerari.
Tuttavia il Governo continua a concedere il permesso di sfruttamento delle miniere al capitale straniero. Invece di regolamentare l’estrazione attraverso norme che garantiscano agli stessi colombiani di sfruttare le ricchezze della propria terra in tutta sicurezza, si impegna su un argomento che può sollevare numerosi interrogativi: una riforma mirata ad aumentare il controllo sulle attività minerarie illegali.
Nulla di strano, anzi, lodevole se non si considerasse un dato fondamentale: l’estrazione illegale è praticata dalle fasce più povere della popolazione, tagliate fuori da qualsiasi altra fonte di guadagno e costrette alla pericolosità del lavoro irregolare (134 morti solo nel 2010) anche dalla mancanza di incentivi all’agricoltura.
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