di
Daniela Sciarra
23-09-2010
I cambiamenti climatici si possono combattere anche a tavola, riconoscendo la stagionalità delle produzioni. Il chilometro zero, i gruppi d’acquisto solidale, l’imballaggio ridotto, sono tutte buone occasioni per mettere in pratica comportamenti d’acquisto più sostenibili.
Oggi, con l'equinozio d'autunno, salutiamo ufficialmente l’estate, il mare e le granite. Daremo a breve l’arrivederci anche a molta frutta e verdura che ha caratterizzato alcuni piatti di stagione, come le gettonatissime 'insalatone', e che magari abbiamo ritrovato anche nei gusti dei gelati artigianali. E allora, largo a zucche, broccoli e altri prodotti che ad ottobre torneranno sulle tavole.
Ma quest’anno, a dicembre e - per esempio - a Natale, riusciremo a rinunciare alle fragole, alle ciliegie o all’ananas e a scegliere prodotti freschi e di stagione? Strano parlarne fin da ora, ma settembre è un mese di pianificazioni, di ritorno al solito tram-tram quotidiano, a quelle abitudini troppo spesso consolidate e che invece dovrebbero essere un po’ modificate. E allora perché non partire dal carrello della spesa e dalla nostra tavola?
Il consumo di cibo in generale impatta sull’ambiente con modalità differenti che dipendono dal ciclo di vita del prodotto. L’impatto si misura considerando tutte le fasi del ciclo di vita, dalla produzione agricola alla trasformazione, dal trasporto allo scarto. In uno studio condotto in Svezia nel 1997 è stato stimato come il 20% di tutta l’energia consumata nel Paese sia connessa alla catena di produzione e consumo di cibo.
Del resto è ormai noto che l’attività agricola sia responsabile della produzione di gas serra per una quota pari a circa il 33% delle emissioni annuali nel mondo. Tra le principali attività che concorrono alle emissioni di CO2 ritroviamo la fertilizzazione dei suoli, la deforestazione, ma anche i trasporti e la produzione di imballaggi necessari per contenere e vendere gli alimenti.
Le strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici ci indirizzano verso l’adozione di metodi di produzione sostenibile, come il biologico o la lotta integrata, e dall’altro a orientare i consumi verso scelte a minor impatto ambientale.
Fino a pochi decenni fa gli alimenti percorrevano molto meno chilometri rispetto ad oggi. Guardando gli scaffali del supermercato o le nostre tavole e dispense spesso capita di non rendersi conto in quale stagione ci troviamo, perché l’offerta è così vasta e variegata che tra gli scaffali troviamo di tutto (dalla noce di cocco alla castagna, dal mango all’arancia) e tutto ci sembra vicino e locale.
Eppure così non è. Basterebbe sapere quanta CO2 viene rilasciata in atmosfera per ogni chilo di frutta prodotta oltreoceano e trasportata nel nostro Paese. Per esempio 1 chilo di kiwi prodotto in Nuova Zelanda e spedito in Italia rilascia in atmosfera 25 kg di CO2, mentre 1 chilo di pesche dall’Argentina, che percorre circa 12 mila chilometri per arrivare da noi, immette nell'aria circa 16 kg di CO2.
Secondo i dati Eurostat, infatti, le merci viaggiano in prevalenza su strada (il 45,6%), con una crescita del trasporto aereo che è stata pari al 3,3% rispetto al 2008. Per questo motivo il trasporto su gomma, con 304.202 tonnellate di petrolio equivalente (toe), brucia più energia tra le varie modalità di trasporto, seguito dal trasporto aereo con 54.254 toe, dal ferroviario con 9.330 e dal fluviale con 6.483 toe.
Le scelte di consumo e di acquisto diventano allora determinanti per orientare i nostri stili di vita verso una maggiore sensibilità ambientale e per attuare piccole ma costanti strategie di mitigazione al cambiamento climatico. Chilometro zero, gruppi d’acquisto solidale (che offrono prodotti locali, freschi e di stagione), alimenti prodotti con tecniche di produzioni sostenibili o confezionati con materiali eco-compatibili o con imballaggi ridotti: ecco alcune delle scelte verso cui possiamo orientare la nostra spesa. I cambiamenti del clima, insomma, si possono combattere anche a tavola.
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