“Per noi la parola comunità non vuol dire solo la nostra associazione, i nostri bambini ma anche il territorio che ci ospita”. Da Danilo Casertano, un aggiornamento sul progetto “Community education”, giunto al suo secondo anno di vita.
Siamo nel secondo anno di vita della nostra utopia concreta chiamata “Community Education”. Un nostro piccolo amico è volato in un altro continente per un’altra avventura, noi lo abbiamo salutato con affetto e rimarrà sempre nei nostri cuori. Un altro è rimasto in Europa, solo un po’ più a nord, in Germania, e sicuramente porterà la sua allegria anche nei freddi paesi teutonici!
Oggi di alunni con noi ce ne sono otto: due di seconda elementare, due di terza, tre di quinta, una ragazza di terza media e una piccola meteora che ogni tanto appare accompagnata dai suoi genitori protettori dei nostri cieli informatici. Ogni giorno tutti insieme abbiamo un appuntamento per scrivere una pagina di questa storia. Tra di noi non mancano certo gli errori ortografici, sia quelli scolastici che relazionali ma non ci preoccupiamo di questo perché stiamo imparando e da noi sbagliare è importante tanto quanto riuscire.
Quest’anno il progetto è ospitato dal comitato di quartiere della Longarina dove l’amico Carlo ci ha aperto le porte del circolo bocciofilo, del gazebo e del parco. Il Centro Sociale Polivalente della Longarina è nato e cresciuto grazie ai mille sacrifici e lotte di persone che rimettendoci anche personalmente hanno avuto il merito di donare al territorio un luogo di aggregazione sociale. Solo un manipolo di pazzi avrebbe creato su un’area privata uno spazio pubblico! Quella pazzia così simile alla nostra... chissà se Goethe l’avrebbe chiamata affinità elettiva.
La bella casa di legno che ci accoglie è anche la sede del circolo bocciofilo quindi ogni giorno, prima di cominciare le lezioni, c’è da fare un piccolo trasloco e modificare lo spazio. Per questo motivo ogni mattina io e il maestro Mirko ci vediamo prima e prepariamo tutto e quando arrivano le mamme ci danno man forte!
Oggi, dopo tanto tempo che non scrivo, voglio dedicare questo articolo proprio a chi mi permette di alzarmi ogni giorno con il pensiero che su questa nave chiunque sia salito a bordo ha un compagno con cui giocare, il mio 'amichetto' si chiama Mirko.
Ho insegnato per diversi anni nelle scuole propriamente dette e solo l’esperienza del maestro di sostegno mi aveva dato la possibilità di sperimentare in maniera continuativa la compresenza di più insegnanti nella stessa classe. Questa volta però è diverso, la necessità di seguire bambini con età e bisogni diversi, occuparsi sia delle materie accademiche che di quelle artistiche necessita un coordinamento totale e quotidiano. Mirko è prima di tutto un artista e il coraggio che il pittore ha di iniziare una grande tela bianca è lo stesso che ogni giorno gli vedo brillare negli occhi quando si mette in gioco in ciò che aveva solo vissuto nei libri e nei racconti degli insegnanti che lo avevano formato.
Ha compreso da subito la forza della calma e della lentezza, che la presenza di spirito i bambini la avvertono ancor più fortemente delle parole. Ha senza dubbio talento pedagogico e a dirlo non sono certo io ma sono gli occhi dei bambini a testimoniarlo.
Mirko ha lasciato un lavoro 'vero' per iniziarne uno 'folle' insieme all’Associazione Manes, i motivi di questo gesto apparentemente inconsulto sarà magari lui stesso se vorrà a raccontarli ma senza dubbio ha tutta la mia stima per aver avuto il coraggio di andare come diceva De Andrè in direzione ostinata e contraria.
Per me che oltre all’insegnamento del mattino ho le vicende familiari, le lezioni pomeridiane, le consulenze, i corsi, gli spostamenti continui, i progetti di Arcipelago SCEC, le corrispondenze, sarebbe stato davvero impossibile pensare di poter continuare a coordinare il progetto da solo.
I genitori sono una risorsa grandissima e alcuni sono anche impegnati con i propri talenti nelle attività, le altre maestre volontarie sono delle gemme che ci donano i propri talenti, professionalità e il loro tempo ma per far si che la trama di questi fili preziosi e belli non sfugga dal telaio c’è bisogno di qualcuno che sappia come funziona la tessitura di un progetto educativo. Mirko ha imparato subito che la nostra non è una scuola, è una comunità che educa e si auto educa e il maestro deve sentirsi prima di tutto appartenente ad essa.
Per noi la parola comunità non vuol dire solo la nostra associazione, i nostri bambini ma anche il territorio che ci ospita, i bimbi che vengono a giocare al parco, gli anziani e le loro carte, le bocce, il bar di fronte dove facciamo colazione, le altre associazioni, le persone che ci vengono a trovare per vedere quello che facciamo, le scuole statali che ci chiedono consulenza, formazione, scambio.
Qualcuno mi ha detto più volte: “Beh, con sette bambini, due maestri più volontari così è facile!”. All’inizio rispondevo che forse prima di dire che era facile avrebbero dovuto mettersi nei nostri panni e provare, affrontare tutti i problemi economici, organizzativi, logistici, di relazione … Poi però mi sono detto che il motivo per cui andare avanti può sembrare facile agli occhi degli altri è perché siamo molto rilassati!
Quello di cui sono certo è che ne vale la pena perché la mattina provo la gioia di incontrare un collega che è un compagno di viaggio, dei bambini che per quanto senta di conoscere profondamente ogni giorno mi stupiscono e che quando ci guardano trasudano amore e gratitudine. Ne vale la pena perché i genitori ti affidano i figli con fiducia ma nessuno ha firmato una cambiale in bianco, vogliono essere partecipi, vogliono capire, pretendono ma allo stesso tempo donano.
Ne vale la pena perché non chiudiamo le porte a chiunque abbia un talento e voglia condividerlo e se questo significa a volte avere un rapporto di un adulto per ogni due bambini allora vuol dire che queste persone vengono perché anche loro vogliono sentirsi parte di una comunità, che nell’aiutare vengono anch’essi aiutati, è relazione, è vita.
Molte cose stanno accadendo e abbiamo intenzione di riprendere a raccontarle anche se questo ci prenderà dell’altro tempo! In Sardegna delle persone meravigliose, in una terra straordinaria, dopo più di un anno e mezzo di lavoro, di formazione, di dono ai bambini si stanno concretizzando degli spazi dove poter gettare le basi di un nuovo modello di educazione che superi le contrapposizioni storiche dello statale e del privato, dell’accademico e artistico, dell’assistenziale e dell’eccellenza.
È arrivato il tempo di comprendere che in questa crisi o ci salviamo tutti o non si salva nessuno. È il tempo di risorgere come comunità e oltre ad affermare questo principio abbiamo bisogno di strumenti pratici per realizzarli. Lo SCEC lo è per l’economia e per noi lo saranno i Community education center… ma questa storia la racconteremo una prossima volta.