La comunicazione di oggi, troppo virtuale e poco reale

Slegato dai luoghi, privato delle interazioni reali e fondato sulla sola immagine, il modo di comunicare ha ormai perso la capacità di tradursi in azione. Stefano Reyes ci presenta il suo punto vista, analizzando le criticità e proponendo le alternative.

La comunicazione di oggi, troppo virtuale e poco reale
La virtualizzazione della società si fa sentire in molti aspetti della nostra vita quotidiana. Uno degli ambiti in cui è più presente e spesso ha effetti più limitanti è quello della comunicazione fra mezzi d’informazione e pubblico, fra istituzioni e cittadini, fra cittadini e altri cittadini. L’architetto bolognese Stefano Reyes conosce bene queste problematiche, avendole affrontate nel corso del progetto di cui è uno degli ideatori e animatori: i Luoghi di Sosta Pedonale o piazzette di strada, che abbiamo già descritto in alcuni precedenti articoli. Comunicare con le persone interessate – gli abitanti delle strade dove vengono allestite le piazzette –, informarli e coinvolgerli, sono attività prioritarie per Stefano e per l’Associazione Centrotrecento, che cura l’iniziativa. Quali sono i problemi che si incontrano oggi nel comunicare, quelli che avete sperimentato nel corso delle vostre attività, e come li avete risolti? Provo a fare un discorso il più organico possibile. Credo che nel nostro mondo si sia sviluppata moltissimo la comunicazione virtuale, on-line o comunque non dal vivo. Essa però ha diversi difetti. Il primo è che tende a limitare l’accessibilità per determinate categorie di utenti, escludendoli molto più di quanto non accada nel caso di incontri fisici e diretti. Questo aspetto è direttamente collegato al fatto che per comunicare oggi bisogna avere la possibilità e la capacità di utilizzare strumenti tecnologici. Anziani, bambini, indigenti e chiunque non abbia le competenze o le risorse – anche economiche – per accedere ad essi è tagliato fuori dalla comunicazione. Il terzo problema è che le interazioni virtuali non sono complete, poiché difettano di tutta la parte non verbale – quella cosiddetta analogica – e questo rende impossibili un dialogo e un’organizzazione reciproca dei rapporti fra le persone. Quando si comunica si ascolta, se va bene, il contenuto e non si tiene conto del tipo di relazione che c’è fra coloro che stanno dialogando. C’è anche un quarto aspetto, cioè il fatto che il mondo virtuale rende la comunicazione spesso divisa in canali paralleli, che non si incontrano. Ciascun utente comunica solo con chi vuole e non con tutti quelli che ci sono. Insomma, è fortemente selettivo, proviene da un mondo frammentato e conduce a un mondo ancora più frammentato, sotto il profilo delle percezioni, dei punti di vista e così via. Sappiamo che la realtà in cui viviamo è costituita da tanti aspetti, spesso divergenti o addirittura antitetici, ma questo tipo di comunicazione esaspera tali differenze, amplificandole e allontanando le persone le une dalle altre, isolandole. Il quinto problema è il venir meno dell’interazione fisica con il mondo. Nel momento in cui gli strumenti comunicativi diventano sempre più virtuali, immateriali e astratti, siamo costretti a comunicare attraverso rappresentazioni sempre più semplificate ed evanescenti di ciò che vogliamo dire. Ridurre tutto il nostro mondo a qualcosa di incorporeo, riduce anche il nostro rapporto con ciò che è fisico, limitando la nostra capacità di intervenire sulla realtà e di modificarla. In questo modo si perde da un lato la socialità più conviviale, dall’altro la capacità di decidere e creare la forma del mondo in maniera condivisa. Come dire, se l’unione fa la forza, sicuramente questi strumenti rompono l’unione; o meglio, non consentono la creazione di un’unione solida. Faccio un esempio: una petizione on-line raccoglie un milione di persone, ma esse non sono unite da nient’altro se non la firma che hanno apposto. Se esse si concentrano prioritariamente o addirittura esclusivamente su analisi, sottoscrizione e promozione della petizione, non riescono a confrontarsi fra loro in maniera diretta, a tradurla in azioni concrete che possano plasmare una comunità coesa e condivisa. C’è un sesto e ultimo aspetto negativo, cioè il fatto che gli strumenti di comunicazione virtuale sono quasi sempre gestiti da organismi centralizzati, che sfruttano le nostre informazioni e, a livelli molto alti, organizzano le politiche economiche globali e decidono il destino dei paesi. Inconsapevolmente concorriamo all’eterodirezione delle politiche nazionali e mondiali, ma questo è risaputo. Se la comunicazione virtuale ed eterodiretta risponde più a logiche centralistiche e di concentrazione di potere e di capitale, la comunicazione diretta funziona al contrario e in un certo senso è più vicina a un concetto di libertà individuale e di sovranità popolare. Nella comunicazione diretta c’è un controllo reciproco da parte delle stesse persone che interagiscono. Questi aspetti non vengono mai evidenziati, ma sappiamo che è così. Tutto questo avviene in maniera silenziosa, ma sulle nostre vite ha un peso enorme. Le politiche nazionali e locali non riescono a emanciparsi da meccanismi più grandi di loro e questo è possibile grazie all’utilizzo di strumenti di cui ci serviamo solo perché sono più comodi nel momento in cui li usiamo. Secondo te bisognerebbe concepire un nuovo modo di comunicare che sia reale e non più virtuale oppure trovare il modo giusto per trasformare la comunicazione e la socialità virtuali in reali? Secondo me bisognerebbe ridurre la quantità di tempo che impegniamo nella comunicazione virtuale. Spontaneamente, chiunque è portato a usare gli strumenti che sembrano più comodi, perdendo molte volte di vista gli effetti che essi sortiscono. Dovremmo da un lato tentare socialmente di ridurre la comunicazione attraverso questi strumenti e dall’altro, per fare questo, migliorare la progettazione e la creazione degli strumenti reali. Per esempio, io posso costruire una bacheca di strada, ma essa non funzionerà più come una volta, perché esistono strumenti che la superano in comodità; quindi dovremmo migliorare la bacheca di strada in modo che diventi tanto comoda da invogliare la gente a usarla. Questo si può fare dal basso, grazie all’azione dei ricercatori e della popolazione, e dall’alto, attraverso l’intervento delle amministrazioni. Quindi non si tratta di eliminare un supporto o l’altro, quanto piuttosto di bilanciarne meglio l’utilizzo? Puoi ridurre l’utilizzo di uno strumento in due modi: facendone crescere uno alternativo dal basso oppure intervenendo dall’alto, imponendo dei vincoli. Per esempio, nel caso di piattaforme di comunicazione gratuite, prevedendo un pagamento diretto per scoraggiarne l’uso. Questo dal mio punti di vista potrebbe anche essere corretto: tutti i supporti che oggi crediamo siano gratuiti in realtà vengono pagati comunque da noi, anche se in maniera indiretta, e fra l’altro si tratta di costi ingenti. Un paese quindi potrebbe ideare delle leggi per cambiare questo meccanismo e sarebbe un passo importante nella direzione di un modo di comunicare più diretto e anche più corretto. Questa è una cosa che si può fare solo dall’alto, anche se – vista l’importanza – è necessaria una maggioranza largamente condivisa. Dal basso, invece, come gruppi o comunità locali, possiamo potenziare le modalità di comunicazione diretta. Tenendo presente il fatto che il mondo della comunicazione è palesemente sbilanciato dalla parte del virtuale, anche in base alla vostra esperienza, quale potrebbe essere qualche idea concreta per il 'ritorno al reale'? Per rispondere alla tua domanda mi rifaccio ad alcuni aspetti. Uno è il successo che ha avuto il nostro progetto delle piazzette di vicinato, che propone un luogo in cui la gente può incontrarsi sotto casa, conoscendo i suoi vicini, un luogo che consente l’incontro diretto e che è stato molto usato e ha permesso a molte persone di instaurare relazioni durature nel tempo, all’insegna dell’interazione sociale reale. Il secondo aspetto sono le occasioni di festa e di aggregazione organizzati, che quando si combinano con uno spazio come quello delle piazzette aumentano il loro potere aggregativo. Si tratta di momenti come potrebbero essere le feste patronali e cerimoniali che, al di là della ricorrenza che viene celebrata, consentono un incontro diretto e reale. Sono importanti perché prevedono momenti unici e condivisi per tutti. Da quando è diventato normale lavorare alla domenica o in orari serali, le persone fanno molta più fatica a incontrarsi in momenti extralavorativi. Infatti, i requisiti per comunicare direttamente sono il tempo – quindi è necessario avere dei momenti 'franchi' come possono essere la domenica o le festività – e i luoghi. Con il tipo di lavoro che c’è oggi, con i suoi ritmi bizzarri, va in crisi l’elemento tempo. L’altro elemento è lo spazio, che può essere di vari tipi. Sicuramente, con lo sviluppo delle città a misura di automobile, lo spazio per la socialità si è ristretto; con la costruzione delle periferie come sono concepite oggi si è ridotta la densità, lo spazio non è più riconosciuto dagli abitanti e anche se ce n’è tanto non è facile da usare, non fornisce punti di riferimento reali. Poi ci sono anche molte restrizioni per l’utilizzo dello spazio pubblico. Per esempio, oggi è raro trovare un condominio che abbia il cortile attrezzato per far giocare i bambini, piuttosto quell’area viene usata come parcheggio. Un terzo elemento è la possibilità di incontrarsi spontaneamente, senza dover organizzare e prefissare gli incontri. Per esempio, quando un bambino vuole andare a giocare oggi deve avere un luogo specifico per farlo, un momento predeterminato e una persona che lo accompagni, spesso lontano da casa. Al contrario, uno spazio dedicato vicino a casa fornisce maggiori possibilità, anche di auto-organizzazione da parte dei bambini stessi, ma è un discorso valido per ogni fascia di età. Questo consentirebbe un incontro più completo e, soprattutto, spontaneo e condiviso. Per riportare la comunicazione a una dimensione reale è quindi basilare il concetto di luogo. C’è un bel libro che tratta queste tematiche: “Il progetto locale” di Alberto Magnaghi. L’autore sostiene la tesi del passaggio dalla coscienza di classe a una coscienza di luogo, cioè l’importanza di costruire, fra coloro che vi abitano, la consapevolezza di appartenere a uno stesso territorio, che è uno degli elementi che con la comunicazione virtuale vengono meno. Al di là dello scambio di informazioni che può avvenire attraverso la comunicazione virtuale, slegata dal territorio, per costruire una relazione reale o un progetto fisico bisogna essere nello stesso luogo. Bisogna ridare peso all’appartenenza geografica. L’associazione Centrotrecento scrive nel suo statuto che svolge la sua attività in rapporto agli abitanti dei luoghi, specificando che gli abitanti sono coloro che frequentano abitualmente quel luogo. Magnaghi auspica il passaggio dalla coscienza di classe alla coscienza di luogo e io aggiungerei “alla coscienza di abitante”, poiché riconoscere di essere nello stesso luogo vuol dire essere consapevoli di viverlo insieme ad altri e questo è fondamentale per poter avere qualunque tipo di relazione reale, di influenza sul luogo, di piacere di frequentarlo e, in generale, un rapporto sano e positivo con il mondo che ci circonda. Cosa vorresti dire a chi opera oggi nel mondo della comunicazione? A me piacerebbe molto poter lavorare con persone appartenenti a questo settore che abbiano la voglia e la capacità di cimentarsi nella comunicazione reale. Questo impegno vorrebbe dire passare dalla società dell’immagine alla società del contenuto. Attraverso la comunicazione virtuale infatti, si può esprimere la rappresentazione di una cosa ma non la cosa stessa. Purtroppo questo è molto difficile, perché moltissimi lavorano sulla comunicazione della sola immagine, invece a me piacerebbe vedere le stesse persone lanciarsi nella realizzazione di ciò di cui parlano. Comunicare vuol dire avere un comportamento, ma nella comunicazione virtuale questo aspetto viene meno. Ecco quindi il mio suggerimento: chi opera in questo ambito oggi dovrebbe fornire alla gente strumenti che la rimettano in grado di comunicare attraverso i propri comportamenti. Bibliografia suggerita dall’intervistato: - Sulla comunicazione analogica e come comportamento: “Verso un’ecologia della mente - Problemi relativi alla comunicazione dei cetacei e di altri mammiferi”, G. Bateson, 1972 e “Pragmatica della comunicazione umana”, P. Watzlavick, 1967; - Sull’interazione fisica con il mondo: “Viaggio nella danza tradizionale in Italia”, P. Staro, 2012; - Sulla frammentazione della conoscenza “La cultura componibile”, L. Russo, 2008; - Sulla semplificazione che incorre nei meccanismi di comunicazione dei contenuti: “Verso un'ecologia della mente”, G. Bateson, 1972.

Commenti

fino ad un certo punto, poi sto notando invece un grande fermento ed una grande voglia di fare ed incontrarsi, e la rete fa da spalla nella comunicazione veloce che serve oggi. qualcuno è isolato, ma piano piano, se si unisce a gruppi di vario genere per interessi comuni, viene stimolato a partecipare attivamente.
Elena Parmiggiani, 06-02-2014 10:06

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