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'Con le ruote per terra' è il documentario che racconta la preparazione della Nazionale Under22 di basket in carrozzina per il Campionato Europeo che si è tenuto a Seveso, a Nord di Milano, nel luglio scorso. La testimonianza del regista, Andrea Boretti, che definisce l'esperienza vissuta insieme ai ragazzi della squadra come forte e rivelatrice.
"La disabilità non esiste", dice Nicolai Lilin nel film Con le Ruote per terra che ho girato - con Carlo Prevosti - tra aprile e luglio scorso tra Seveso, Bologna, Torino e Vicenza con la Nazionale Under22 di basket in carrozzina. Non esiste nel senso che quali che siano i limiti che il tuo corpo ti pone, tantissimo può essere fatto, più di quanto ognuno di noi possa immaginare. Io amo il basket e come ogni giocatore che si rispetti fin da bambino ho sognato la nazionale e di giocare una grande competizione come gli Europei. Il sogno per me non si è realizzato, non ero abbastanza bravo o forse non abbastanza abile. Al contrario, per i 12 stupendi protagonisti in carrozzina di questo film, sì. Chi è il disabile allora? Ha senso parlare di disabilità?
Questo articolo, è bene dirlo subito, non è l' auto-celebrazione di un regista sconosciuto in cerca di un po' di gloria, ma vuole essere la semplice condivisione di una esperienza che è stata forse la più forte della mia vita e spero possa dare qualcosa anche a chi dovesse leggerlo. Un'esperienza iniziata entrando in un palazzetto con in testa un'idea di documentario e finita 3 mesi dopo con la maglia della nazionale indosso esultando per il canestro da 3 di un ragazzo in carrozzina.
Personalmente non avevo grosse esperienze con la disabilità, ho fatto il servizio civile in ambulanza e quindi qualche persona in carrozzina o con difficoltà motorie di diverso genere l'ho incontrata, ma nessuno di loro aveva meno di cinquant'anni e il rapporto si era limitato a quell'ora di trasporto in ambulanza. Niente di troppo coinvolgente insomma.
Questa volta è stato diverso. Sapevamo che la nazionale Under 22 di basket in carrozzina si preparava al Campionato Europeo che si è tenuto a Seveso, a Nord di Milano, nel Luglio scorso. Io e Carlo abbiamo così cominciato a frequentare i raduni e a fare le prime riprese già a fine Aprile. All'inizio l'imbarazzo era forte, mi accorgevo di controllare il più possibile le parole e le espressioni del volto.
Come ci si avvicina a dei ragazzi in carrozzina? Come si affrontano? Alcuni di loro poi erano e sono addirittura minorenni, come fare per rompere il ghiaccio e superare la barriera dell'età e della diversità fisica? Tutte domande che, poi ho scoperto, non hanno alcun senso.
La società e forse anche un certo regime culturale nel quale cresciamo ci insegnano che siamo fortunati a essere fisicamente integri, e questo è innegabile. Di riflesso però, la stessa società e lo stesso regime culturale ci insegnano che se noi siamo fortunati', allora vuol dire che ci sono anche gli 'sfortunati', ovvero i disabili. In quanto tali, la convenzione vuole che i disabili vadano sì aiutati, ma anche un po' compatiti. Niente può essere più lontano dalla situazione reale, niente può essere peggiore di un approccio del genere.
La prima lezione me l'ha data, col suo fortissimo accento romano, Domenico - 19 anni, malato di spina bifida e quindi in carrozzina dalla nascita - in un bellissimo pomeriggio estivo al parco: "La malattia non è mai stata un problema perché sono sempre stato un tipo allegro (...) e poi la vita è una sola o la vivi bene in qualunque condizione oppure conviene spararsi prima...". Capito? Allora perché dovrei compatirlo? Perché dovrei marcare la differenza fisica tra me e lui con il mio comportamento accondiscendente? Domenico tra l'altro, oltre a essere nella nazionale di basket, disegna come io non saprei mai fare, compone canzoni e basta dare uno sguardo alla sua pagina facebook per capire come la sua vita sia più piena di quella di tanti altri ragazzi.
Caduti gli stereotipi, nei mesi che sono seguiti è stato tutto molto naturale. Loro giocavano a basket, io li riprendevo e alla fine di ogni allenamento o partita andavamo tutti insieme a mangiare. Lì i discorsi erano quelli che mi è capitato di vivere in qualunque squadra di basket, ovvero ancora basket e sempre basket perché la passione non è una cosa che si spegne uscendo dalla palestra. Solo un altro argomento rivaleggiava con lo sport: le donne.
Il tenore dei discorsi era quello di un qualunque spogliatoio, più dettato dagli ormoni dell'adolescenza che dal sentimento, come è ovvio che sia. In privato invece, nonostante qualche imbarazzo, mi è capitato un paio di volte di riuscire a parlare seriamente di questo argomento che, inutile nascondersi dietro ad un dito, per loro non è così scontato. Il risultato di queste chiacchierate è stato di una banalità sconcertante. Ognuno di loro ha una storia a sé, come è ovvio che sia, qualcuno è già stato innamorato e fidanzato, qualcun altro no, qualcuno, proprio in questi mesi, ha avuto le prime esperienze amorose. Certo, l'affettività è una cosa e la sessualità un'altra, ognuno di loro nei prossimi anni dovrà combattere le proprie battaglie fisiche e interiori per trovare un equilibrio in questo senso, ma chi di voi lettori non in carrozzina può dire di aver fatto diversamente?
Insomma, più passava il tempo e più svisceravo il problema e più si faceva evidente l'assenza del problema stesso. "La disabilità" non esiste. Come dice Alfredo Marson, il vulcanico Presidente della Briantea84 che ci ha aiutato in tutti questi mesi di produzione del film e che ha organizzato un evento enorme come gli Europei di Seveso: "Non importa che tu sia senza una gamba o senza un occhio, l'importante è che tu sia un uomo prima di tutto e che tu voglia fare sport, perché questo è quello che tu sei!".
"L'importante è che tu sia un uomo e che tu voglia fare sport", ovvero l'importante è ciò che sei dentro e ciò che fai. Sono i tuoi sentimenti e le tue azioni che ti rendono quello che sei, non certo il tuo corpo che sano o malato che sia non varrà mai come l'anima che si porta dentro.
C'è un po' di retorica in tutto questo? Può essere, ma questa è l'esperienza che ho vissuto, questo è quello che ho imparato. Potrei andare avanti per giorni a raccontare di Dodò che non vorrebbe rinascere sano perché altrimenti la sua vita "probabilmente non sarebbe stata così stimolante", o di Silvia, l'unica donna di questa nazionale Under22 che non si pone limiti e per i suoi ideali va in prima linea in manifestazione a prendersi le manganellate. Di esempi del genere ne potrei fare altri mille, sono tranche de vie di ragazzi tra i 14 e i 21 anni, ragazzi interessanti per ciò che sono, non certo, posso dire a distanza di 6 mesi dal nostro primo incontro, perché si spostano seduti su una carrozzina.
Commenti
Ho vissuto un'esperienza che ritengo indimenticabile. Il mio cognome lo testimonia.-
Non ho ancora avuto l'opportunità di ringraziare Andrea e Marco: loro sanno, però, che li ho nel cuore per la immensa serenità con la quale hanno trattato l'argomento "disabilità".-
Sono due "ragazzi" la cui sensibilità trascende l'evento: grazie di cuore Marco, grazie di cuore Andrea, anche a nome dei ragazzi della Nazionale U22 di basket in carrozzina
Pino MICELI, 08-11-2010 08:08
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