di
Matteo Marini
04-07-2013
È affondata nella notte del 2 luglio nell'Oceano Atlantico il Perro Negro 6, una delle 6 piattaforme marine 'offshore' di Saipem, sussidiaria di Eni. Il disastro, afferma Greenpeace, ripropone con urgenza la questione della sicurezza di questi impianti.
Il Perro Negro 6, piattaforma marina che fa parte del gruppo Saipem (azienda leader nella realizzazione di impianti petroliferi e in ambito di perforazioni) è affondato, nella notte tra l'1 e il 2 luglio scorso, nelle acque dell'Oceano Atlantico.
A renderlo noto, un paio di giorni fa, è stata la stessa Saipem, con un comunicato in cui vengono spiegati e ricostruiti gli andamenti dei fatti. Il bilancio dell'incidente, a quanto si sa fino adesso, è di un disperso e 6 feriti. Le cause, sembrano da imputarsi al cedimento del fondo marino sotto una delle 3 gambe del Perro.
Altro dettaglio: la piattaforma, costruita nel 2009 in Indonesia e capace di lavorare in acque profonde più di 100 metri, si è inabissata precisamente all'altezza della foce del fiume Congo, tra l'Angola e la Repubblica Democratica del Congo (ad una profondità di circa 40 metri).
Nella notte in questione, il mezzo stava compiendo delle operazioni di posizionamento che sarebbero state utili alla perforazione. Venendo meno il fondale, la struttura ha incominciato ad imbarcare acqua ed è scomparsa nelle profondita dell'oceano intorno alle 10.30 del mattino. Fortunatamente, avendo attivato per tempo l'allarme e avendo fatto evacuare la piattaforma, non c'erano membri dell'equipaggio. Eppure, nonostante questo, su 103 membri si contano un disperso e 6 feriti.
La Saipem, per adesso, non sa se ci sono stati danni ambientali e sottolinea di aver preso tutte le misure di prevenzione previste e di essere assicurata sia per la perdita dell’impianto, sia che per eventuali danni ambientali e per la rimozione del relitto. Il fatto poi che il Perro Negro 6 operasse in acque non particolarmente profonde, attenuerebbe ancora di più l'investimento economico per rimediare a questo incidente.
Il dramma della piattaforma Perro Negro 6, di proprietà della Saipem - sussidiaria di Eni - affondata ieri in Congo, ripropone con urgenza la questione della sicurezza di questi impianti, proprio quando anche nei nostri mari è in corso un vero e proprio assalto all’oro nero.
E' quanto afferma Greenpeace che ricorda come “a poco meno di un mese dallo sversamento di petrolio a Gela, Eni é di nuovo sul banco degli imputati".
"Pensare che la Saipem sarà capace di trivellare in piena sicurezza a 700 metri di profondità nel Canale di Sicilia mentre non riesce a gestire una perforazione a 40 metri in Congo è una follia. Eppure, negli studi di impatto ambientale presentati per farsi autorizzare i pozzi esplorativi nel Canale di Sicilia, Eni continua a non prendere in considerazione l’eventualità di un serio incidente”, dichiara Alessandro Gannì, direttore delle Campagne di Greenpeace Italia.
Eni millanta procedure d'avanguardia che escluderebbero ogni rilevante pericolo, ma alla luce di quello che è successo alla Perro Negro 6, non sembrano eccessive le richieste delle autorità norvegesi che (dopo l’incidente della piattaforma Scarabeo8)avevano già chiesto a Saipem di rivedere “la gestione dei processi” e di “applicare misure che garantiscano la conformità con i requisiti relativi alla salute, sicurezza e l’ambiente, nella compagnia in generale.”
Nonostante i continui disastri, e le ovvie carenze negli Studi di Impatto Ambientale, la Commissione di valutazione di impatto ambientale (VIA) avrebbe già dato parere favorevole per progetti di trivellazione dei giacimenti Cassiopea e Argo nel Canale di Sicilia, e ora si accinge a valutare la richiesta su Vela 1 [1].
Questa è l’ennesima dimostrazione che Eni non è in grado di operare in condizioni di sicurezza. "Non possiamo permetterci di rischiare nuove catastrofi sulle nostre coste. I progetti di estrazione di Eni - continua Greenpeace - rappresentano un serio pericolo per l’ambiente, per la nostra salute e per la nostra economia. Per questo motivo, chiediamo al Ministro dell’Ambiente di fare finalmente qualcosa e intervenire affinché la Commissione VIA effettui finalmente una seria e indipendente valutazione dei rischi delle attività petrolifere in mare. Allo stesso tempo, chiediamo a tutte le Regioni di schierarsi contro le speculazioni di giganti petroliferi senza scrupoli".
Fonte: Greenpeace
1. Il briefing “I vizi di Eni”
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