Qualcuno ricorderà una trasmissione televisiva che divenne famosa anche per chi non aveva la televisione perché era frequentata da chiunque ed era spesso citata, si chiamava Maurizio Costanzo show.
Così come la legge dell’audience vuole, erano invitati in questa trasmissione ogni tipo di soggetti, chiunque potesse attrarre era chiamato o comunque ambiva a parteciparci. "Mi hanno chiamato al Costanzo show!": era una specie di magico traguardo raggiunto, va da sé che ovviamente tutto faceva brodo e quindi venivano chiamati anche personaggi pseudo alternativi che magari in un determinato periodo avevano la loro fiammata di gloria e per questo erano invitati. E per fare apparire più gradevole il vero protagonista dello show, cioè le pubblicità, laddove chi interviene e cosa dice non ha nessuna importanza perché fa da specchietto per le allodole della vendita, Costanzo inventò la famosa frase: consigli per gli acquisti.
Da qui parte il libro di Cinzia Picchioni, Consigli contro gli acquisti – Consumare meno e vivere meglio con la semplicità volontaria, scritto nel 2013 e ancora attualissimo perché fa parte di quei libri che ogni scolaro dovrebbe avere come libro di testo e che pone le basi del cittadino che ha a cuore se stesso, il prossimo, vicino o lontano che sia, e l’ambiente. Sì, capisco di parlare di fantascienza ma è dall’inizio del nostro percorso come Associazione Paea che siamo dediti alla fantascienza, quindi andiamo a esaminare l’ottimo libro della Picchioni.
All’inizio si citano personaggi monumentali come San Francesco e Gandhi che diceva che la sua vita era il suo messaggio, in un mondo odierno dove il messaggio è la vita, visto che si comunica tantissimo e si è assai poco. Si presenta poi la semplicità volontaria come virtù e piena di vantaggi anche perché si risparmia molto, e in tempi in cui tutti si lamentano di non avere abbastanza soldi, dovrebbe essere un percorso da intraprendere in maniera automatica. Invece lo seguono in ben pochi e continuano a credere ai consigli per gli acquisti dei vari gatti e volpi, lamentandosi poi inevitabilmente.
La Picchioni non lascia fuori nulla nel suo percorso, dalle cose che non ha senso comprare (quasi tutte) a quelle che si possono trovare usate, con scambi o comunque con vari modi che non siano necessariamente l’acquisto. Del resto basta andare in una qualsiasi isola ecologica o chiedere ad amici e parenti per essere sommersi di cose. E se si deve comprare, meglio farlo nei circuiti alternativi, il più possibile, a iniziare dai gruppi di acquisto collettivo. Il libro ci parla di come fare una spesa ecologica, come sapere cosa inquina di più o di meno, come ridurre drasticamente i rifiuti ma anche quale è il costo ambientale e di sfruttamento umano di molti prodotti.
Illustra anche i prodotti che si possono fare in casa, autoproducendoli, spiega dove mettere i soldi, come fare attenzione all’inquinamento indoor e outdoor ed evitare materiali nocivi, come attuare una mobilità davvero sostenibile cioè muoversi meno come locuste in giro per il mondo evitando così di supportare una delle industrie più inquinati come quella turistica. Tra i vari prodotti presi in esame non poteva mancare il telefono cellulare con le sue varie negatività, a iniziare dai pericoli per la salute; Cinzia Picchioni è fra i pochissimi che non lo possiede, ci si stupisce come faccia ma a quanto pare è possibile. Riportiamo un suo passo "eretico" sul tema: «Certo questo modo di pensare presuppone una notevole libertà, presuppone che non ritengo di valere in proporzione alle telefonate che ricevo, significa che il lavoro non è al primo posto delle mie priorità, significa che io a mia volta non pretendo di trovare una persona non appena la cerco, significa di non fare le cose all’ultimo minuto, né arrivare in ritardo (o mancare) agli appuntamenti e dunque non aver bisogno di chiamare per avvisare... Forse è proprio un altro stile di vita».
E che sia possibile anche l’impossibile lo dimostra la sua descrizione finale di come ha scritto il libro, senza particolari ausili tecnologici.
Per concludere riporto un passo del libro dedicato proprio a quella cultura che si diceva alternativa ma che poi ci ha regalato vagonate di manager e le relative tante diavolerie tecnologiche che stanno portando le persone alla follia esistenziale e il mondo al collasso, visto che alla fine l’unico obiettivo era il consumo di sé e la realizzazione personale attraverso la vendita di qualsiasi cosa, compresa la spiritualità da baraccone. E i nativi avevano capito subito dove andava a parare questa falsa libertà espressa in forme molto discutibili.
«Fuori del villaggio Hopi di Oraibi nel Nuovo Messico, qualche tempo fa c’era un cartello: AVVISO. Non è permesso l’ingresso a nessun visitatore bianco estraneo, per la sua incapacità ad obbedire alle leggi della nostra tribù, come del resto a quelle della sua stessa tribù. Questo villaggio accanto è perciò chiuso».
L’autrice spiega che:
«In tal modo si contravveniva a tutta l’antichissima tradizione di ospitalità indiana ma ecco la spiegazione di un così grave passo:
Hippie,
giovane senza radici,
vai in giro alla guida del tuo furgone
e rubi i nostri oggetti sacri
sperando di diventare come noi.
I capelli lunghi e le collanine
mascherano i tuoi modi da uomo bianco,
ma miri ancora alla conquista
in nuove e diverse maniere.
Proclami la rivoluzione
vuoi amore libero e pillole
speri che riempiano il vuoto
causato dalle vostre malattie sociali.
Ma gli abiti non fanno l’indiano
No, gli abiti non fanno l’uomo
se non hai rispetto
per il piano invisibile dello Spirito.
Così vai pure in giro senza lavarti, se questa è la tua vita
e prenditi le tue emozioni dalle pillole
e dal sesso, ma per piacere non dire
che sei indiano.
Ci fa solo star male».
Mai parole furono più sagge nel descrivere il vuoto assoluto di una non cultura che indossata giacca
e cravatta, con immancabile I-Phone, si è purtroppo diffusa in tutto il mondo spargendo il verbo dei
consigli per gli acquisti.
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