Cosa succede se si imbocca, senza saper bene perché, l'ingresso del mega-parcheggio di un centro commerciale, e non si trova più la via d'uscita?
Volevo scrivere un articolo fatto così: “Il parcheggio di un centro commerciale è il simbolo della perdizione: fatto di terribili, apparenti, confermate, certezze. Lo sgomento inzia dove tutto appare facile, quando vi fanno sentire sicuri, l’organizzazione è alle spalle, qualcuno ha pensato per voi, a come aiutarvi per poterne uscire. Le pareti dei parcheggi sono dipinte, perciò, di colori diversi: lilla, arancio, azzurro, giallo, verde. Su ogni colonna c’è un numero e anche una lettera. Elementare. Basta scrivere sul retro del biglietto, consegnato dalla macchina automatica all’ingresso sbarrato, il settore e le cifre del posto in cui vi siete fermati. Provate già un leggero panico, man mano che vi allontanate dalla vettura; le date ancora un’occhiata prima di perderla completamente, superando le porte automatiche anch’esse, imboccando la scala mobile.
Tutto così facile. Provate a scacciare il senso di incertezza, l’idea sciocca che non riuscirete più a orientarvi quando il giro sarà finito e dovrete tornare a casa ma non potrete, perché sarà stata quella l’ultima volta che l’avete vista, la vostra automobile. E invece quel presagio si realizza immediatamente, in superficie, anche se siete distratti dalle luci, dalla quantità, dalla gente e quell’aria di grande movimento che invade le strade del centro commerciale. Strade che portano dove? Centro di cosa? Non vi dà ancora troppo fastidio ma ve ne accorgete che non capite dove siete, dov’era il negozio che vi serviva, che cercavate, dove siete stati solo una decina di giorni fa.
È inutile mentire, non vi ricordate, non potete ricordarvi, perché l’unica cosa che potreste memorizzare in un centro commerciale è la sequenza dei negozi, come sono disposti uno accanto all’altro. Dovreste, insomma, sviluppare una forma mnemonica maniacale. Ma voi siete persone come tutte le altre, speciali certo, ma abituate a sviluppare facoltà specifiche per problemi con soluzioni possibili. Niente a che vedere con il luogo in cui state facendo acquisti. Allo smarrimento si aggiunge una sensazione di impotenza e avvilimento generale.
Così comprate altre cose, e camminando camminando vi stancate finché decidete che basta. Non volete più sentirvi in balia, volete ritrovarvi. Ma la perdizione è appena cominciata. Se vi resta un po’ di lucidità la userete tutta per ricostruire l’ultima cosa che avete visto lasciando la scala mobile, e andrete in cerca di quella, che vi porterà poi alla colonna, al colore, alla lettera, al numero.
Ci siete seduti dentro, e guidate il vostro veicolo. Non prendete iniziative, non avete più l’energia. Vi limitate a osservare le frecce. Ce ne sono ovunque, in alto davanti a voi, sul pavimento, e portano dappertutto. Al centro e al Raccordo. Sulla via del mare, e alla Montagnola. Ma intanto siete lì che procedete senza imbucare l’uscita, anche se c’è scritto continuamente: uscita. Tornate al settore da cui eravate partiti già due minuti fa. Vi sarà sfuggito qualcosa e allora ripetete il tragitto, stando più attenti alle indicazioni. Non fate che seguirle, non fate altro, non pensate nemmeno. Perché allora non siete già fuori, su una doppia corsia a doppio senso e con un cielo stellato sulla testa? Continuate a immaginare la fine del circuito, cercate il punto di evasione, la breccia, la maglia rotta nella rete. Maledite l’attimo in cui avete scommesso che sarebbe andata bene, che sarebbe filata liscia stavolta, che l’ultima vi fosse servita, eravate già finiti in quell’incubo. Vi passano davanti i momenti migliori della vita, rimpiangete gli amici, formulate buoni propositi, il cuore vi si intenerisce al pensiero di tutto quello che potreste fare appena salvi, appena fuori.
Ma quello che capita quando non ci sono criteri da seguire è di abbandonarsi, tirare in aria la moneta, imboccare una direzione qualsiasi. Dai parcheggi dei centri commerciali è soltanto così che si esce: per puro caso. Che è anche il modo in cui qualche volta ci si entra. Lo stesso, sempre, in cui ci si perde”. Ma quello che mi chiedo è: avete davvero bisogno di un nuovo paio di calze coprenti?