Nella lotta all’ultimo sangue per accaparrarsi i clienti, le grandi compagnie telefoniche, energetiche o di qualsiasi altro tipo, usano i call center per bombardare costantemente le persone con le loro proposte. In questa guerra esistono due vittime e un solo vincitore; le prime vittime sono le persone che lavorano nei call center, sottopagate, sfruttate con un lavoro deprimente e alienante, che devono anche subire le giuste rimostranze e i frequenti improperi dei poveri utenti. Ma il lavoratore del call center dipende da quanti clienti arraffa e non può quindi che tampinare innumerevoli persone.
Le seconde vittime sono coloro che subiscono il bombardamento dei call center e come ulteriore beffa, se qualcuno per caso li chiama da un telefono fisso al loro cellulare, non ha praticamente alcuna speranza che gli venga risposto, visto che spesso i telefoni fissi sono usati dai call center e quindi si preferisce non rispondere. Perciò chi ha un cellulare perde le telefonate dei fissi anche potenzialmente importanti.
Il vincitore di questa guerra fra “poveri” è uno solo, cioè il datore di lavoro che guadagna dallo sfruttamento dell’incaricato del call center e dagli utenti che acquistano i suoi prodotti.
Ma lavorare in un call center è inevitabile? Senza nessuna particolare garanzia lavorativa, sottoposti a notevole stress da performance, con contratti a tempo che si rinnovano di volta in volta per fare in modo che costino sempre meno al datore di lavoro.
I guadagni reali di un call center in genere, soprattutto perché è un lavoro fatto temporaneamente da chi poi farà altro, sono qualche centinaia di euro al mese da cui bisogna togliere i soldi per raggiungere il posto di lavoro. Se ci si va in auto, si hanno costi di benzina, manutenzione, parcheggio ecc, se ci si va con i mezzi pubblici si ha il costo del biglietto o abbonamento. Non rimane granché e magari si impegnano cinque, sei o sette ore di lavoro al giorno a cui si aggiungono in media mezz’ora o un'ora complessiva di viaggio fra andata e ritorno.
Prendiamo poi un altro lavoro sottopagato e anche pericoloso cioè quello dei rider, coloro che, per lo più giovani, si prestano a trasportare con un motorino o una bicicletta in genere del cibo pronto a destinazione. Infatti nel mondo del progresso e della fantastica tecnologia che doveva farci lavorare tutti meno, si lavora sempre di più e non si va più nemmeno a mangiare.
Tornare a casa per farlo è impensabile, fuori del luogo di lavoro si perde tempo, si fa prima quindi a fare in modo che il pasto arrivi direttamente sul posto di lavoro. E già che ci siamo si può mangiare direttamente alla scrivania o meglio ancora mentre si prosegue a lavorare al computer.
Si mangerà di corsa e distrattamente qualche pasto di qualità infima avvolto in mille plastiche e contenitori, un vero toccasana per lo stomaco e per la salute propria e dell’ambiente.
O ancora peggio si ordina da mangiare anche se si è tornati a casa dal lavoro, magari la sera, “così si
fa prima”.
E intanto il povero rider corre avanti e indietro perché più consegne fa e più guadagna, con il rischio di ammazzarsi o provocare incidenti per la sua dannata fretta.
Il tutto per pochi euro l’ora, senza nessuna garanzia e con la prospettiva che se muore sul lavoro, verrà pure licenziato, come è successo per davvero.
Ora, ci si chiede: ma fare questi lavori a dir poco assurdi e socialmente inutili ha senso? E inoltre, davvero conviene conti alla mano o sarebbe meglio utilizzare il tempo per farsi un bell’orto e almeno si mangia tanto e meglio rispetto al cibo spazzatura che si trasporta?
Secondo i calcoli che si evincono sia dalla produzione degli orti autoirriganti di Alessandro Ronca
che da quelli dell’orto elementare di Gian Carlo Cappello, mediamente con 200 metri quadrati (cioè un fazzoletto di terra di 20 metri per 10 metri) di orto e il lavoro di una persona un giorno alla settimana si produce il fabbisogno alimentare di ortaggi per quella persona.
Questo significa che si potrebbe autoprodurre almeno il 50% dei propri alimenti a seconda di quale dieta si abbia, se si è vegani si arriva anche al 70%. Quindi si risparmierebbero molti soldi e si potrebbe utilizzare il resto del tempo liberato per trovare un lavoro migliore che non quello di farsi insultare in un call center o rischiare di morire per portare del cibo di plastica a qualche manager indaffarato.
Addirittura si potrebbe trovare la coltivazione una attività interessante e fare come la famiglia Darves (tre persone) in America che, con meno di 400 mq di orto, non solo soddisfano interamente il loro fabbisogno ma vendono il surplus per un totale di circa 20 mila euro l’anno. Prima quindi di diventare carne da macello per lavori senza senso, non sarà il caso di valutarne veramente la convenienza da tutti i punti di vista? Può darsi che arrivino risposte insospettabili e che possano far prendere decisioni migliori per se stessi, la propria qualità della vita, il proprio portafoglio e, perché no, anche del pianeta, che male di certo non fa. E non si dica che la terra non c’è, non si trova, costa troppo, perché l’Italia è strapiena di terreni abbandonati che possono essere richiesti a Comuni o proprietari anche in comodato d’uso o con piccoli affitti, considerata anche la metratura davvero risibile che servirebbe.
Ma state tranquilli, quello che avete appena letto è un racconto di fantascienza; continuate a credere che farsi sfruttare e fare un lavoro assurdo è il massimo che possiamo ottenere, soprattutto da noi stessi....
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