di
Elisa Magrì
25-02-2011
Negli ultimi anni l'Italia ha rappresentato il più importante partner commerciale della Libia nel ramo degli armamenti. Lo autorizzava espressamente il Trattato di Bengasi del 2008, ed oggi la posizione dell'Italia, come quella di Francia e Russia, fa discutere, perché le armi che sparano sui civili vengono proprio dall'Europa.
Nelle stesse ore in cui si svolge la guerra civile in Libia e il governo italiano valuta le misure da adottare con le centinaia di migliaia di rifugiati provenienti dal Nord Africa, può essere utile tener presente che i rapporti fra Italia e Libia sono molto più complessi e articolati di quanto non emerga dalle cronache degli ultimi avvenimenti.
Secondo il dettagliato rapporto stilato dall'Istituto di ricerche internazionali Archivio disarmo, Tripoli rappresenta un importante partner commerciale per l'Italia in ambito militare. La firma del Trattato di Bengasi del 30 Agosto 2008, ratificato dall'Italia nel Febbraio 2009 e dalla Libia il 2 Marzo, costituisce una tappa saliente rispetto agli anni Settanta, Ottanta e Novanta, quando le tensioni fra la Libia e i paesi occidentali erano state più forti e controverse.
La normalizzazione dei rapporti fra Italia e Libia, siglata dal Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione da Berlusconi e Gheddafi nel 2008 (ma al Preambolo avevano già iniziato a lavorare Prodi e D'Alema), prevede, oltre agli impegni di consultazione politica, cooperazione culturale e collaborazione energetica, “la realizzazione di un forte ed ampio partenariato industriale nel settore della Difesa e delle industrie militari” (Art. 20, comma 2). Nel 2008 il Trattato sollevò polemiche soprattutto per la promessa di una “ricompensa” italiana alla Libia nella forma di stanziamenti di cinque miliardi di dollari in 20 anni e per la mancata messa in discussione dell'Alleanza dell'Italia con la Nato.
Tuttavia, nel 2008 il valore delle spese militari libiche ha cominciato a crescere, raggiungendo, secondo i dati SIPRI elaborati dall' Archivio disarmo, la cifra di 1,1 miliardi di dollari nel 2008. Ciò significa che la Libia ha consolidato nell'ultimo periodo la sua posizione di partner commerciale nel ramo militare, di cui l'Italia, come anche la Francia e la Russia, hanno particolarmente beneficiato.
In particolare le tabelle che esprimono il valore delle autorizzazioni alle esportazioni italiane in Libia dal 2006 al 2009, stilate dai Rapporti annuali del Consiglio dei Ministri in materia di armamento, attestano una costante crescita degli investimenti italiani in Libia a partire dal 2006.
Soprattutto Finmeccanica ha potuto rafforzare la propria presenza nel mercato libico nel 2009, infatti nel Luglio 2009 la compagnia italiana dell'aeronautica ha firmato con la LIA (Libyan Investment Authority) e la LAP (Libya Africa Investment Portfolio) un Memorandum of Understanding per la promozione di attività di cooperazione strategica in Libia, Medio Oriente e negli altri stati africani. Un ruolo importante è ricoperto anche dalla compagnia italiana Itas srl, la quale cura il controllo tecnico e la manutenzione dei missili a lunga gittata antinave Otomat.
In realtà sono molte le industrie italiane che hanno fatto affari con la Libia, al punto che un gruppo di ex-operai della Breda Fucine di Sesto San Giovanni si è sentito in dovere di scrivere una lettera di denuncia. “Anche l'Italia - ricordano i lavoratori di Sesto San Giovanni - ha fornito armi, bombe, cannoni e mitragliatrici per le navi e gli aerei (e le contraeree) che oggi sparano sugli insorti”.
Per questo motivo la Rete Italiana per il Disarmo (coordinamento che raccoglie oltre 30 organismi italiani impegnati sul tema del controllo degli armamenti) e la Tavola della Pace chiedono al Governo e al Parlamento italiano la sospensione di ogni forma di fornitura di armamenti e di cooperazione militare con il governo libico.
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