di
Andrea Boretti
14-09-2010
Il countdown per la crisi petrolifera è già iniziato. Mentre la BP continua ad essere sul banco degli imputati e miliardi di dollari vengono spesi nella speranza di minimizzare i danni di un disastro ambientale che ha lasciato il mondo senza parole, dagli oleodotti Nigeriani si riversa ogni anno nel delta del Niger una quantità di petrolio pari a quello riversatosi finora nel Golfo del Messico. Una storia lunga cinquant'anni.
Qualche mese fa, precisamente a Marzo, un oleodotto della Exxon Mobil ha perso in pochi giorni ben 4 milioni di litri di petrolio prima di essere riparato. In Nigeria gli oleodotti sono centinaia e le loro perdite hanno compromesso interi corsi d’acqua, inquinato ettari di terreno e minato la salute di migliaia se non milioni di persone che di quell’acqua e di quella terra hanno vissuto per anni (l’aspettativa di vita in queste zone è di poco superiore ai 40 anni).
Tutto questo è già stato denunciato un paio di anni fa da un’inchiesta di Report sul Gas-flaring in Nigeria e di tutto questo siamo ancora qui a parlare perché da allora non è cambiato assolutamente niente, anzi.
I motivi delle perdite sono i più diversi, dal furto al sabotaggio dei guerriglieri del Mend, all'incuria e alla mancanza di manutenzione. "Siamo di fronte a continue perdite di petrolio da oleodotti arrugginiti, alcuni vecchi di 40 anni", ha dichiarato Bonny Otavie, parlamentare della Bayelsa. Quello che è certo è che nonostante questo i 606 campi petroliferi nigeriani forniscono il 40% del greggio importato negli Stati Uniti, percentuale che è destinata ad aumentare se, come dicono le previsioni, il consumo mondiale di greggio crescerà in maniera considerevole nei prossimi anni. Nel 2008 si consumavano 84,7 milioni di barili di petrolio al giorno, gli esperti dicono che se ne consumeranno 88,4 nel 2015 e ben 105,2 nel 2030.
Aumenta la domanda di petrolio e contemporaneamente diminuisce la quantità disponibile di greggio. Le conseguenze sono due: o si trovano nuovi giacimenti o si decide di produrre meno petrolio con tutte le conseguenze, positive e negative che ne deriverebbero.
Nel primo caso cercare nuovi giacimenti significa estrarre l’oro nero dal fondo del mare (come sempre più le compagnie non OPEC stanno facendo) o comunque in zone decisamente più impervie e difficili da raggiungere. In Nigeria questa prospettiva non piace: "le grandi perdite probabilmente aumenteranno, dato che le industrie sono costrette a estrarre il petrolio da luoghi sempre più remoti e difficili da raggiungere. E quando le cose andranno male, sarà ancora più difficile correre ai ripari", dice Ben Amunwa, attivista del gruppo di controllo sul petrolio Platform. Come insegna la tragedia del Golfo del Messico questo è più che vero.
L’alternativa è quindi quella di una diminuzione della produzione di greggio con conseguenze diverse e per niente piacevoli. Anzitutto, con l’andamento attuale dei consumi, assisteremmo ad un aumento smodato del prezzo del greggio (200$ al barile, 300$?) che porterebbe a contraccolpi economici tremendi soprattutto nell'industria dei trasporti. In secondo luogo, aumenterebbe la produzione di biocarburanti che conseguentemente causerebbe una diminuzione della disponibilità di cibo (mais in particolare) e aumenterebbe anche l’inquinamento degli oceani con sostanze azotate (derivate dai concimi) che favoriscono lo sviluppo di alghe e provocano di riflesso la morte di milioni di pesci e ad altri organismi.
Una terza eventuale conseguenza di una crisi petrolifera mondiale consiste nella possibilità che questa venga seguita da una crisi militare. Per rimanere in Nigeria (ma gli esempi sarebbero diversi), molti esperti prevedono un'invasione dello stato africano da parte degli americani entro il 2013. Si tratta di una previsione talmente realistica che nel 2008 l’esercito statunitense ha effettuato una simulazione di tale conflitto nella scuola militare di Carlisle in Pennsylvania...
Da qualunque lato la si voglia vedere è quindi ormai chiaro che il picco del petrolio è sempre più vicino; può essere una nostra scelta quella di diminuirne l’uso o può essere una decisione presa più in là negli anni quando il cambiamento non sarà più posticipabile (a quel punto però gli sforzi da mettere in campo saranno decisamente enormi).
L’unico modo per rendere sostenibile (non certo di evitare) l'imminente crisi petrolifera è quindi consumare meno. Inoltre è necessario dare il via in maniera intensa alla ricerca e alla sperimentazione sulle auto-elettriche, puntare sulle energie alternative e rinnovabili e nel frattempo, nel periodo di transizione, puntare su motori con capacità di consumo ridotte. Tanto per fare un esempio, negli Stati Uniti le automobili sono decisamente meno efficienti che in Europa e in Giappone e anche qui i margini di miglioramento sono assolutamente elevati.
L’orologio sta girando, il countdown è cominciato, la domanda è: saremo pronti a governare la transizione verso il mondo senza petrolio o ne saremo travolti?
Commenti