Sono state emesse ieri mattina dalla Grande camera della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo le attese sentenze sulle tre cause climatiche intentate presso il foro. La Svizzera è stata condannata per inazione climatica; dichiarato invece inammissibile il ricorso presentato da sei giovani portoghesi e respinto il ricorso presentato da un ex sindaco francese.
I giudici erano chiamati a valutare se la mancata adozione da parte degli Stati di politiche climatiche in linea con gli impegni assunti con l'Accordo di Parigi configurasse violazione dei diritti dei loro cittadini. È la prima volta che la Corte si pronuncia sulle mancate misure per il clima.
La condanna della Svizzera
Nel caso Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri contro la Svizzera, la Corte di Strasburgo ha condannato la Svizzera per la mancata adozione di misure in materia climatica, riconoscendo di fatto la relazione tra difesa del clima e tutela dei diritti umani. La Cedu ha stabilito che il mancato raggiungimento degli obiettivi di riduzione dI gas clima alteranti ha violato alcuni diritti umani. La sentenza dovrebbe costringere il governo elvetico a varare politiche climatiche più efficaci e può avere importanti ripercussioni su altri paesi europei.
Il caso portoghese
Non è stato invece positivo l'esito della causa Duarte Agostinho e altri V. Portogallo e 32 altri paesi, presentato da 6 giovani portoghesi. I giudici di Strasburgo hanno infatti dichiarato inammissibile il ricorso: “per quanto riguarda la giurisdizione extraterritoriale degli Stati convenuti diversi dal Portogallo, la Corte ha ritenuto che non vi fossero motivi nella Convenzione per estendere, tramite interpretazione giudiziaria, la loro giurisdizione extraterritoriale nel modo richiesto dai ricorrenti. Considerato che i ricorrenti non avevano intrapreso alcuna via legale in Portogallo in merito alle loro denunce, il ricorso dei ricorrenti contro il Portogallo è risultato irricevibile anche per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne”. La dichiarazione di inammissibilità va dunque interpretata come una devoluzione alle giurisdizioni nazionali delle cause in materia.
Le reazioni
“In altre parole – commenta Lucie Greyl dell'organizzazione A Sud e co-coordinatrice della Campagna Giudizio Universale – la CEDU ha rimandato ai giudici nazionali il compito di pronunciarsi sull'adeguatezza delle politiche climatiche e sugli impatti che la mancata azione ha sui diritti umani. Una ragione in più per impugnare la sentenza con cui il Tribunale ha dichiarato inammissibile la nostra causa”.
È di un mese fa infatti la sentenza del Tribunale Civile di Roma ha rigettato la causa intentata da 203 ricorrenti contro lo Stato Italiano per “difetto assoluto di giurisdizione”. Eppure, il contenzioso sul clima contro lo Stato italiano (A Sud et. al. contro Italia) si basa proprio sulla minaccia ai diritti fondamentali causata dall'inadeguatezza delle politiche climatiche e affronta la mancanza di un quadro normativo sul clima e l'assenza di politiche basate sulla scienza. “L'altra novità importante è che il legame inscindibile tra azioni di contrasto ai cambiamenti climatici e tutela dei diritti da oggi ha nella pronuncia della CEDU un riconoscimento fondamentale per le nostre battaglie per la giustizia climatica”.
A commentare le sentenze anche il team legale di Giudizio Universale: “Prendiamo atto con favore della sentenza della Corte europea sul caso Klimaseniorinnen. Il riconoscimento da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo che lo Stato svizzero ha commesso una violazione collegata all'assenza di un calcolo del proprio bilancio di carbonio e alla mancanza di un quadro giuridico sufficientemente efficace per contrastare il cambiamento climatico è un precedente importante per la giustizia europea e per il nostro caso nazionale. La sentenza ricorderà ai tribunali e al governo italiani che, al contrario, la richiesta da parte della società civile di protezione dei diritti fondamentali minacciati dall’emergenza climatica provocata dalle politiche climatiche insufficienti è giustiziabile. Per quanto riguarda il caso Duarte, registriamo una contraddizione riguardo al principio espresso dalla Corte Europea di irricevibilità del ricorso per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne: non tutti i tribunali nazionali sono ricettivi alle controversie sul clima e i processi sono molto lunghi, mentre l'emergenza climatica ci impone azioni rapide. Il caso italiano ne costituisce un esempio, in quanto sono state attivate le vie di ricorso a livello nazionale in Italia, ma il tribunale domestico dopo quasi tre anni ha deciso che le richieste di tutela dei diritti fondamentali legate al cambiamento climatico non sono giustiziabili in Italia".
Respinto infine il caso Carême c. Francia, riguardante il ricorso presentato da un ex abitante e sindaco del comune di Grande-Synthe: secondo la Corte “il ricorrente non aveva lo status di vittima ai sensi dell'art. 34 della Convenzione”.
Foto: Cedu