di
Andrea Degl'Innocenti
10-11-2011
Il nostro paese è in bilico fra il fallimento e le liberticide misure anticrisi proposte dall'Europa. Tutti parlano di spread Btp-Bund, di crisi del debito. Ma di cosa stanno parlando? Cerchiamo di fare un po' di luce sulle ragioni della crisi e di fornire qualche strumento per capire meglio quello che sta accadendo in queste ultime ore concitate.
È difficile tenere il passo delle notizie che si rincorrono. Dopo anni di stallo politico ed economico sembra che in Italia tutto debba succedere nel rapido corso di una manciata di ore. Il nostro paese corre in bilico sul crinale dei mercati.
I rendimenti sui Btp a dieci anni hanno superato il 7% per la prima volta dal 1997 e lo spread Btp-Bund ha oltrepassato ampiamente la quota 500 punti, arrivando a toccare nella giornata di ieri i 575. Secondo alcuni analisti è ormai troppo tardi, si è raggiunto il punto di non ritorno, oltre il quale si rende necessario un bailout, una ingente iniezione di liquidità da parte di un ente esterno. Leggi un salvataggio da parte di Fmi o Bce, con annesse drammatiche conseguenze.
Questa mattina però, la notizia del probabile – e imminente – governo tecnico guidato dall'europeista Mario Monti ha fatto reagire positivamente i mercati, con Piazza Affari che è rimbalzata in positivo nelle ultime ore; l'acquisto massiccio di titoli di stato italiano da parte della Bce ha poi fatto calare lo spread con i Bund tedeschi.
Ma cerchiamo di vederci chiaro. In queste ore di caos, è forse più importante fornire strumenti di analisi e di conoscenza che rincorrere gli altalenanti andamenti delle borse o del differenziale sul debito. Capiamo con cosa abbiamo a che fare. In Italia, al momento attuale, il problema principale è quello del debito: il nostro paese ha circa 2mila miliardi di debito pubblico.
Ogni volta che viene venduto un Btp (Buono del tesoro poliennale), lo Stato contrae un debito nei confronti dell'acquirente. Come su ogni debito, anche su quello statale pendono degli interessi (il cosiddetto rendimento). Il rendimento dei titoli di stato viene regolato dalle leggi del mercato. Generalmente, se un titolo viene considerato sicuro, molti investitori lo acquisteranno e dunque avrà un rendimento basso, se invece viene ritenuto rischioso – perché lo stato che lo emette rischia di essere insolvente - il suo rendimento tenderà a salire.
Attualmente i titoli di stato considerati più sicuri nella zona euro sono quelli tedeschi, detti Bund, che hanno un rendimento che oscilla attorno al 2 per cento. I Btp italiani sono invece i titoli più rischiosi, e superano i 7 punti percentuali di rendimento. Lo spread, o differenziale, altro non è che la differenza di rendimento fra i due titoli. Alle ore 11 di oggi, ad esempio, con i titoli italiani a 10 anni che rendevano il 7,06 per cento e quelli tedeschi all'1,8 lo spread era di 5,26, ovvero 526 punti base.
Ma perché l'Italia ha un rendimento così alto? È opinione diffusa quella che il rendimento sia direttamente collegato con l'ammontare del debito. In realtà non è così. Esistono paesi, infatti, come il Giappone, che hanno debiti pubblici – e rapporti debito/pil – ben più alti eppure non soffrono della medesima crisi.
Il nodo della questione sta nella proprietà del debito sovrano. In Giappone esso appartiene, per il 99 per cento, ai cittadini. I titoli di stato giapponesi infatti sono in mano a fondi pensione, fondi postali, banche e famiglie giapponesi. Questo tiene lontano il debito giapponese dalle speculazioni finanziarie e mantiene la domanda costantemente alta: difatti il rendimento dei titoli nipponici oscilla fra lo 0 e l'1 per cento.
Il debito italiano appartiene invece per la maggior parte a banche, enti, fondi, istituzioni o hedge fund stranieri. Che a differenza dei singoli cittadini hanno un potere di condizionamento del mercato enorme. Se tutti questi soggetti smettono di acquistare titoli di stato italiano il loro rendimento salirà alle stelle, costringendo lo Stato a pagare interessi esorbitanti sul proprio debito. Dunque ad oggi, il nostro problema fondamentale non è il debito di per se, ma l'enorme speculazione dei mercati finanziari sul debito italiano.
In questo senso va letta la proposta di Giuliano Melani, responsabile di una società di leasing, che venerdì scorso ha acquistato una pagina del Corriere della Sera per spingere i cittadini italiani ad acquistare il proprio debito: se tutti gli italiani comprano i Btp ed i Cct, argomenta Melani, alla fine il debito italiano risulta tutto in mano italiana.
La proposta di Melani è senza dubbio interessante, ma difficile da praticare. Resta il dilemma di come uscire da questa situazione. Le misure proposte – imposte? - dalla comunità internazionale, che Monti, se andrà al governo, avrà cura di mettere in pratica, sono inaccettabili. Sono le solite, vecchie misure, della famosa “lettera d'agosto” inviata da Trichet e Draghi al governo: privatizzazioni dei beni dello stato, liberalizzazione dei servizi di interesse pubblico, innalzamento dell'età pensionabile, abbassamento dei salari.
Si depreda l'Italia con la scusa di salvarla, e si rimanda soltanto di qualche tempo un fallimento che sembra comunque difficile da evitare. Il problema fondamentale è che i poteri forti che chiedono l'applicazione di queste misure sono gli stessi che controllano i mercati finanziari e dunque possono decretare la vita e la morte di una nazione.
Se il paese si piegherà alle richieste di Bce e Fmi, le borse forse torneranno a salire per qualche tempo, ma intanto l'immenso patrimonio culturale e sociale di cui il nostro paese è tanto generoso finirà nelle mani delle multinazionali. Altrimenti per l'Italia si prospetta il fallimento, con probabile l'uscita dall'Euro, un futuro prossimo di ristrettezze, ma qualche speranza in più di farsi forza e ripartire, dai cittadini, da quel poco di comune che ancora ci rimane. A noi la scelta.
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