"È il debito l’arma più potente di questo capitalismo che qualcuno definisce spuntato e agli ultimi rantoli". Ma come si fa ad uscire dalla spirale viziosa del 'delirio spreadicidio'? Basterà indignarsi? Per tornare ad essere cittadini c'è bisogno di trovare modi efficaci di sottrarsi a questo mercato.
Delirio spreadicidio: non si può uscire dal mercato globale perché, dicono i ‘market-oriented’ il futuro ci riserverebbe solo fame e carestie; i real politik-oriented dicono che è il mercato stesso che non ti permette di andartene, proprio come la cupola mafiosa non permette all’affiliato di uscire dal giro pena la morte, sarebbe un pericoloso precedente.
Lo ammetto, nonostante il fatalismo dovuto all’essere cresciuto in un contesto dove le persone si affidavano più al banco lotto che all’ufficio di collocamento, benché la parola 'crisi' sia affibbiata alla mia generazione come un marchio d’identità, come il vero brand che la caratterizza, sono anch’io angosciato. Confesso che il ‘Mercato’ mi spaventa.
Non utilizzo l’ossimoro 'libero mercato' perché sarebbe un insulto all’intelligenza di quelli che eventualmente leggeranno quanto vado scrivendo. Dicevo, mi spaventa l’apparato che lo sostiene e la sua capacità ingegneristica di creare consenso attorno a sé; la sua strategia è quella di farti credere che ognuno possa arricchirsi, e che ricchezza e benessere siano sinonimi. Il secondo step della strategia è il debito, indebitarsi per raggiungere l’obiettivo della ricchezza, in questa fase il sinonimo di ricchezza diventa ‘debito’.
È il debito l’arma più potente di questo capitalismo che qualcuno definisce spuntato e agli ultimi rantoli. Non è un’arma da poco in effetti, costringe stati sovrani a tagliare diritti acquisiti, ad assecondare il mercato in tutte le sue richieste, a tagliare il costo del lavoro e le pensioni, ad abbassare la guardia sulla tutela ambientale in nome di una produzione che deve crescere.
Si può uscire da questa spirale viziosa del debito, si può uscire da questo mercato, come? Gli ‘ecocentrici’ propongono come soluzione il reimpostare il nostro stile di vita, tornare alla cooperazione lasciando perdere la competizione, consumare smartly (ergo ecosostenibile), tornare ad un’economia reale, rallentare i tempi, contribuire a ridisegnare, insieme alle istituzioni preposte esigendo di partecipare, il modello di sviluppo che metta al centro l’essere umano e l’oikos, la casa-natura, e non l’homo oeconomicus con il suo senso di onnipotenza.
In sintesi i cavalieri della sostenibilità asseriscono che se ne esce tornando all’esercizio della 'Cittadinanza' e mettendo da parte la paura: il mondo ha bisogno di cittadini, cittadinanza che sia attiva e consapevole, partecipe e cosciente, informata e acculturata.
Basterà indignarsi? Basterà tornare ad essere cittadini? Non ne sono convinto. Il confronto è impari, ossia ‘Noi’ siamo molto più forti del mercato, ma è la democratizzazione degli strumenti di cittadinanza il fulcro della contesa.
Lasciamo stare astruse e inapplicabili pratiche di socialismo reale o di comunismo ideologico, senza dare per scontate e inattaccabili le conquiste sociali e i diritti finora acquisiti, chiediamoci fino a che punto arriva la democrazia rappresentativa, l’informazione obiettiva, l’istruzione di base, la cultura e la conoscenza. Interroghiamoci sull’immaginario in cui ci stiamo muovendo e chi ce lo costruisce, riflettiamo su come comunichiamo e chi ci dà la possibilità di farlo.
I movimenti che stanno nascendo come funghi, supportati dal web 2.0, ma soprattutto da una frustrazione e insofferenza se non odio verso un sistema che sta affamando tanti e arricchendo pochi - mi riferisco ad Occupy e Indignados vari, così come a quelli storici come Attac, Greenpeace e le miriadi di Comitati locali, ong, associazioni -, possono contare su milioni tra sostenitori, attivisti, simpatizzanti, e rappresentano indubbiamente indicatori incontrovertibili di un risveglio generalizzato delle coscienze e di un lavoro che è ai primordi, che deve ancora esprimere tutto il suo potenziale.
Ma che contributo hanno dato alla costruzione di un immaginario nuovo, alternativo a quello proposto dal ‘Mercato’? Quanto hanno contribuito finora alla diffusione e promozione degli strumenti di cittadinanza attiva? Qualcosa è stato fatto ma non è abbastanza.
Guardando al nostro orticello, la lotta per i beni comuni portata avanti con diverse campagne e sfociata nel referendum della primavera scorsa, è stato un ottimo esercizio di cittadinanza, la migliore leva per ‘sdebitarci’ oserei dire, ma poi? Cosa è successo in seguito?
Molti sono spaventati, temono gli speculatori, hanno ansia da spread e paura del credit crunch, che la loro banca sia insolvente o che l’azienda per cui lavorano chiuda; la paura rende cani alla catena. Giusto pagare un debito contratto da una classe dirigente incapace, con clausole truffaldine, con interessi da usuraio.
Dichiararsi insolventi è un esercizio che è stato praticato da diversi stati sovrani che oggi si atteggiano a virtuosi, Germania in primis (lo ha fatto due volte nel corso del XX secolo), ma insolvenza è una parola che non mi piace, fa vedere le cose da una prospettiva sbagliata, preferisco dire che rifiutare di assoggettarsi al mercato ti rende cittadino e costruttore di sviluppo, uno sviluppo locale inserito in un mercato globale fatto di piccoli commerci, economia reale regimentata dalla politica, la politica dei cittadini.
Il Piano Marshall contribuì a farci vivere un ventennio di boom economico, ora che conosciamo il prezzo da pagare forse ci pensiamo su 'enne' volte prima di farci prestare dei soldi dagli usurai. E nel frattempo che arriva quel ‘mondo migliore’ cosa facciamo? Questo lo scopriremo solo vivendo…
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