Chi pensa ancora che i governi possano disinnescare le bombe alzi la mano. Chi pensa ancora che i governi possano favorire la pace e arginare gli istinti più brutali dell’uomo alzi la mano. A chi ha alzato la mano proponiamo alcune riflessioni.
I buoni propositi degli Stati dopo la seconda guerra mondiale sono forse serviti a prevenire la guerra di Corea, la guerra in Vietnam e tutti gli altri conflitti di cui questi ultimi 70 anni sono stati costellati? Esistono (o sono mai esistiti) limiti morali, etici, scrupoli di coscienza nel condurre tali conflitti?
Abbiamo sotto gli occhi in questi giorni il monumentale dispiegamento di forze e il folle spargimento di sangue a Gaza. Albert Camus, giornalista e filosofo francese che ha combattuto nella Resistenza contro il nazismo, aveva scritto articoli molto duri contro la guerra nel 1946, raccolti con il titolo “Né vittime né carnefici”. Li aveva scritti per la rivista Combat, denunciando la strategia del terrore che si andava affermando, la legittimazione dell’omicidio e l’appannarsi di quegli ideali di pace e di rinnovamento della società che erano pur stati teorizzati dopo la fine della guerra.
E, come afferma Steven Rosenfeld (autore di "Count My Vote: A Citizen's Guide to Voting" AlterNet Books, 2008), «proprio “Nè vittime nè carnefici” è il credo che Israele mostra di ignorare nell’attuale guerra che sta conducendo a Gaza».
«Nemmeno le mani di Hamas sono pulite – aggiunge Rosenfeld – ma i colpi inferti da Israele sono immensamente più tremendi. I principali media americani giustificano gli attacchi di Israele accennando a missili o tunnel nascosti di Hamas. Ma viene detto ben poco delle vendette collettive israeliane sui palestinesi anche quando non c’è in corso alcuna guerra. E questa politica alimenta cicli continui di violenze generazionali». Ne esce un quadro di barbarie.
Di qualche giorno fa è poi la notizia del missile che ha abbattuto un jet malesiano sui cieli dell’Ucraina; vittime innocenti straziate, i cui resti sono stati caricati che hanno viaggiato per giorni verso casa. E in quei lidi la guerra continua, con la Russia da una parte e l’Ucraina spalleggiata dagli Usa dall’altra, con un’unica garanzia: che arriveranno altri morti.
Rosenfeld ha anche ricordato in questi giorni i tanti bambini e ragazzini che dal Centro e Sud America si ammassano ai confini con gli Stati Uniti, mandati dalle famiglie che sperano, così facendo, di salvare dalla miseria, dall’agonia e dalle derive della delinquenza almeno i più giovani. I Repubblicani non sono morbidi con questi adolescenti, ma nemmeno gli altri. E persino il Washington Post, notoriamente a difesa dell’establishment, ha ammesso che questa crisi migratoria è dovuta al fallimento delle politiche americane contro i narcotrafficanti.
Si sa poco, poi, ricorda ancora Rosenfeld, dell’Isis e di ciò che questa versione del califfato islamico sta compiendo in Iraq. L’Isis (Stato islamcio dell’Iraq e del Levante) viene descritto come un gruppo jihadista attivo in Siria e in Iraq che si è proclamato Stato, ma che non è riconosciuto. Rosenfeld ricorda gli attacchi e la repressione dell’Isis, a governo fondamentalista, nei confronti soprattutto delle donne.
E’ dunque naif aspettarsi che a risolvere le crisi internazionali siano proprio i governi e i leader politici che hanno un ruolo nella nascita e nel mantenimento di quelle stesse crisi; è naif pensare che chi guida i conflitti o permette loro di crescere possa anche essere incaricato di risolverli. Ciò che resta a noi da fare è non smettere mai di pensare e di ripetere che la guerra è l'opzione più sbagliata che ci sia, a qualunque fine e per qualsiasi ragione. E non solo la guerra armata che si combatte tra Stati e popoli, ma anche la guerra "armata" in cui spesso veniamo risucchiati ogni giorno nel nostro piccolo, tra persone che stanno vicine e che continuano a odiarsi. Quindi, sempre no.
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