La crisi dell’Europa è la crisi dell’Euro "Ma prima di tutto è la crisi di un modo di intendere le relazioni commerciali fra paesi Europei e quindi la relazione fra debitori e creditori che ha origine nel fraintendimento della provenienza dell’abbondanza. La crisi chiede di ripensare al fondamento stesso dell’Unione per capire se è veramente necessario che essa si affidi alle valutazioni di mercati finanziari".
"Siamo Sicuri che, con l’impegno di tutti, scaturito dalla consapevolezza che ci troviamo ad affrontare problemi che riguardano l’intera Unione e la tenuta della moneta comune, dunque problemi non circoscrivibili a questa o quella debolezza o forza nazionali, consegneremo ai giovani un'Europa più forte e coesa".
Queste le parole con cui si conclude la missiva inviata dal governo Italiano all’UE nel desiderio di conquistarsi la sua clemenza. Clemenza che il 3 Novembre, alla prima riunione del G20, è arrivata nella forma di un'esortazione a mostrare i 'fatti', poiché una lettera non basta più a calmare i mercati.
Nella lettera inviata dal Governo Italiano sono descritte le riforme, le misure, o meglio le promesse con cui l’Italia si impegna a tranquillizzare l’Europa, e quindi i ballerini mercati finanziari. Le parole a conclusione della lettera d’intenti italiana espongono due dei problemi che l’Unione si trova ad affrontare. Si afferma innanzitutto che i problemi attuali sono problemi europei “non circoscrivibili a questa o quella debolezza o forza nazionali’’.
Una prima domanda da porsi è: se il problema è Europeo perché non lo si affronta a partire da un pensiero sull’Unione Europea e le sue mancanze? Perché si sceglie di affidare le colpe dei mali attuali solo ai paesi debitori - i peccatori - di cui i paesi creditori - i virtuosi - sarebbero i buoni benefattori? In secondo luogo, nella missiva si afferma che la moneta comune – l’Euro - deve essere sostenuta. E tuttavia, che moneta è una moneta che per essere sostenuta richiede panico, crisi, licenziamenti, paure, blocco degli investimenti, rivolte e divisione?
Affermare la necessità di mantenere la moneta comune in un contesto di crisi generalizzata appare come un dogma il quale più cerca di essere applicato senza essere compreso e più afferma la sua forza di costrizione. Prima di abbracciare o rifiutare l’Euro, una seconda domanda da porsi è: qual è lo scopo e quindi il limite dell’Unione Monetaria Europea?
L’Euro, nato in primo luogo per facilitare le relazioni commerciali infra-Europee, rischia di essere messo in crisi proprio a causa del continuo richiamo alla sua necessaria difesa attraverso misure di Austerity, di contenimento, di ripianamento del debito. Tali misure rischiano di scatenare reazioni nazionali (e quindi nazionalistiche) di rifiuto dell’Euro e dell’Europa - la moneta simbolo di un Europa di ricchezza e pace - per ritornare a monete autonome nazionali. E tuttavia, la difficoltà e la sfida attuale sta proprio nell’articolazione fra le esigenze particolari e il progetto comune Europeo.
Invero, l’Europa si costituì al fine di facilitare l’incontro fra le differenti autonomie nazionali, per cui la posta in gioco nel salvare l’Europa sta nella stessa capacità di saper reggere l’incontro economico fra le diversità, senza annullarle ma neanche allontanarle fra di loro. La storia non è percorribile all’indietro, ma alla storia si può rispondere. La storia non si cancella, ma le si può dare un senso... e quale senso ha ritornare indietro fuggendo da ciò che non si riesce a comprendere?
La sovranità delle economie locali e nazionali, nulla dovrebbe avere a che fare con il progetto Europeo che nel facilitare le relazioni commerciali si proponeva, dopo anni di guerre interne, di consentire all’abbondanza di fluire tra le nazioni dell’Unione. L’Europa nasce dalla consapevolezza, sul finire di una guerra lacerante, che il benessere di tutti dipende dal benessere di ognuno e viceversa. L’Unione non ebbe origine da una condizione di abbondanza certa, ma di mancanza, e non fu istituita per abolire le differenze, ma per farle incontrare.
In un'intervista recente sull’Inkiesta il Professore Luca Fantacci (Università Bocconi) fa notare come i debiti pubblici di per sé non costituiscono un problema per la tenuta monetaria, in quanto sono detenuti dai cittadini dello stato che li emette, a meno che non vengano affidati ad investitori stranieri (ed invero nelle correnti misure volte a fronteggiare la crisi si propone proprio di aprire maggiormente l’Europa al finanziamento straniero, in primis Cinese e durante il G20 si è accolta con entusiasmo la decisione Italiana di affidarsi al monitoraggio del FMI).
Debito pubblico e debito straniero sono distinti, poiché il primo è un affare interno fra i cittadini e lo stato, mentre il secondo è un rapporto fra paese creditore e paese debitore. Conseguentemente Luca Fantacci afferma che è necessario “levare al debito pubblico il ruolo di arbitro delle sorti dell’Europa” poiché, “lasciando a ogni stato membro l’autonomia di decidere quanto indebitarsi con i propri cittadini, l’Europa dovrebbe preoccuparsi esclusivamente di quella parte dei debiti, pubblici e privati, che non sono finanziati dal risparmio interno’’.
In secondo luogo “i debiti esteri che oggi si faticano a finanziare sono fra i paesi europei, che nel loro insieme non registrano un deficit con l’estero”, di conseguenza l’Europa non necessita di aiuti esterni.
Luca Fantacci propone di risolvere l’attuale situazione di stallo attraverso alcune modifiche da apportare alla European Financial Stability Facility (Efsf), la nuova istituzione Europea creata per far fronte alla crisi.
La Efsf si potrebbe immaginare come una 'camera di compensazione' su cui ogni paese aprirebbe un conto a saldo iniziale pari a zero. Paesi in deficit registrerebbero un conto negativo, e paesi in surplus un conto positivo. I saldi complessivi sarebbero sempre pari a zero, perché la camera si baserebbe sul principio della multilateralità. Ovvero, un debitore è libero di pagare il proprio debito con i proventi delle esportazioni a qualunque altro paese membro e un creditore di usare il proprio credito per pagare importazioni provenienti da qualunque altro paese membro. In tal modo, debiti e crediti si compenserebbero multilateralmente tra di loro.
Nel caso di un'uscita prolungata dalla situazione di equilibrio i debitori pagherebbero un interesse sui propri saldi negativi, come i creditori sui saldi positivi. Il che è teoricamente comprensibile, poiché se la camera di compensazione “consente ai debitori di acquistare ciò che altrimenti non avrebbero potuto permettersi, allo stesso modo, permette ai creditori di vendere ciò che altrimenti non avrebbe trovato mercato”. La decisione dell’Efsf di decurtare il debito greco del 50% involontariamente va proprio in questa direzione. E tuttavia, poiché la misura prende la forma della cancellazione di un debito essa appare come una concessione, una misura d’emergenza, o di salvataggio, da parte dei paesi creditori.
In tal modo non emerge ciò che è più importante, ovvero la necessità di una riforma istituzionale volta a permettere l’equilibrio fra debitori e creditori. Istituzionalizzare tale equilibrio richiederebbe uno strumento che permetta di ricontrattare i termini del pagamento, date le situazioni economiche presenti, al fine di renderlo possibile, e non la cancellazione filantropica dei debiti.
La crisi dell’Europa, è la crisi dell’Euro, ma prima di tutto è la crisi di un modo di intendere le relazioni commerciali fra paesi Europei e quindi la relazione fra debitori e creditori che ha origine nel fraintendimento della provenienza dell’abbondanza. La crisi chiede di ripensare al fondamento stesso dell’Unione per chiedersi se è veramente necessario che essa si affidi alle valutazioni di mercati finanziari.
E tuttavia, nell’immensa varietà di riforme proposte e richieste, promosse, bocciate e poi modificate, tra le salite e le discese dei mercati finanziari il quadro che si sta delineando è quello di una divisione fra paesi di serie B (Italia, Spagna, Grecia) e paesi di serie A (Germania e Francia in prima fila): fra chi ottiene prestiti piangendo e chi ne concede sbuffando, ma tremando di paura tanto quanto gli altri. Il timore che accomuna tanto i virtuosi quanto i peccatori rivela che in fondo gli uni hanno bisogno degli altri. I primi per comprare e i secondi per vendere.
Il rapporto di credito e debito chiede di apparire per ciò che è: non un favore concesso dai paesi creditori, tanto meno una vergogna per i debitori, ma una relazione che esiste perché da sempre bisogni e mezzi diversi si possano incontrare. Questa relazione non poggia su nessuna garanzia o sicurezza se non quella del bisogno reciproco.
Un’Europa che si rifugia nell’aspettativa che i mercati una volta messi in funzione la uniscano e rafforzino agli occhi del mondo, nella fuga dall’attuale condizione di stallo, mostra come la crisi dell’Unione è la crisi di un pensiero politico che stenta a prendere forma.
E tuttavia nell’affidarsi ai mercati l’Unione si proibisce di pensare ad una modifica del rapporto debitore-creditore, poiché ciò che i mercati non possono sopportare è proprio il rischio insito nella relazione tra debitori e creditori, una relazione rischiosa in quanto implica il momento di un pagamento i cui termini dipendono da condizioni economiche future e incerte. E infatti ciò a cui si è assistito negli ultimi anni, ci ricordano Massimo Amato e Luca Fantacci, è stato il tentativo di evadere il momento del pagamento, attraverso la separazione fra debitori e creditori.
Gli Stati uniti non pagano la Cina, ai debitori è stato fatto credere di poter indebitarsi a costo quasi nullo e ai creditori di poter concedere crediti su cui lucrare senza dover preoccuparsi della situazione del debitore. Si fugge dal pagamento, quello vero, che quindi 'libera', perché la promessa di un pagamento fornisce più certezza di un saldo pari a zero. Nel primo caso si sa che prima o poi qualcuno pagherà, nel secondo si pone la necessità di decidere cosa fare, veramente, senza aspettare.