di
Roberto Ciccarelli
13-12-2011
Ieri nel crollo dell'impalcatura allestita per il concerto di Jovanotti al Pala Trieste ci sono stati sette feriti e ha perso la vita Francesco Pinna. Dicono che era "operaio per caso". Invece, nulla è più normale, oggi in Italia, che lavorare e studiare. Francesco aveva 20 anni.
Francesco Pinna, ventenne triestino, aveva messo la sua vita al lavoro per 5 euro all'ora. È morto allestendo il palco del concerto di Jovanotti. Che ha interrotto il suo tour.
Francesco Pinna, studente, lavorava nell'economia dell'evento. Come il 40% degli studenti italiani, anche Francesco alternava studio e lavoro e rientrava nel 23,2% degli studenti che firmano un contratto a brevissimo termine, quello necessario per costruire l'impalcatura del concerto di Jovanotti al Palatrieste e morire per 5 euro all'ora.
Poco o nulla si sa, di questa economia, della sua logistica e del precariato strutturale che si vive nelle sue articolazioni interne costituite da service o cooperative che trasportano cavi, mixer e amplificazione per le serate nei club. O, almeno, nulla sa il diritto del lavoro che non ha strumenti per comprendere la natura di un lavoro precario che si svolge in un'impresa la cui esistenza è temporanea e intermittente.
Come Francesco, e i 6 feriti per il crollo mortale, ciascuna delle cento persone che ieri lavoravano all'allestimento del palco è parte di una forza-lavoro flessibile in un'organizzazione instabile. Davanti ad una cattedrale accartocciata per il crollo del ground support che copre il palco e alloggia gli altoparlanti e i riflettori, 15 metri di altezza e 20x30 di larghezza, è possibile ricostruire il sistema di appalti e di subappalti che governa il lavoro postfordista e, ormai lo si può dire, il lavoro in quanto tale in Italia.
Al centro c'è un'azienda, in questo caso la Azalea production, che produce concerti e grandi eventi, vende biglietti, rifornisce le prevendite abituali nelle città del Triveneto, organizza l'ufficio stampa. È possibile che questa azienda sia il terminale di una rete di piccole e piccolissime aziende di catering o di logistica, i tir che trasportano in tutta Italia il palco, oppure la cena per lo staff della star. Questa rete, tanto più ampia e complessa quanto più grande è l'evento da realizzare, viene quasi sempre attivata dalla produzione dell'artista di turno (nel caso di Jovanotti, la Trident Management Srl), oppure da una internazionale interessata a “piazzare” un evento a Catania o a Belluno.
Il crollo del palco di 15 metri di altezza, 20 per 30 di larghezza
Davanti alla maledetta cattedrale progettata da un “ingegnere abilitato”, le 100 persone che lavoravano a progetto (si spera) sono abituate ad essere pagate “a corpo”, cioè ad assumere commesse da un privato, così come dal pubblico. È questa l'organizzazione del lavoro diffusa in tutti gli “eventi” culturali in Italia. Di forza-lavoro intercambiabile, spesso di ottima preparazione tecnica o musicale, ne fa uso l'amministrazione pubblica, a partire dagli assessorati alla cultura. Nell'economia dell'evento la presenza del governo locale è invasiva perché è dall'allestimento di una processione, di una mostra sul tartufo o sul fungo cardoncello che dipende la riuscita di una politica del “marketing territoriale” che attrae il turismo.
A questa stessa organizzazione si rivolgono i sindaci, e le maggioranze di ogni colore, per risollevare le pericolanti sorti dell'economia di un territorio. Francesco è una delle vittime di un mercato del lavoro strutturalmente precario dove la gestione di un evento viene affidata a terzi.
La chiamano “outsourcing”.
Dal blog La furia dei cervelli
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