di
Francesco Bevilacqua
18-03-2011
È stato approvato in questi giorni il decreto Romani sulle rinnovabili che, modificando la disciplina degli incentivi fiscali, ha creato scompiglio e incertezza nel settore del fotovoltaico. Il timore è che, in seguito a questa stretta legislativa, la svolta energetica che si stava lentamente avviando subisca sul nascere una battuta d’arresto fatale.
Come spesso accade in Italia, a ogni passo avanti ne corrispondono due indietro. Nella direzione dei gamberi va l’ultima mossa del Governo intrapresa in materia di energie rinnovabili, rappresentata dal decreto Romani, firmata da Paolo Romani, recentemente nominato Ministro dello Sviluppo Economico e già autore del controverso e contestato decreto 'censorio' della rete.
Sostanzialmente la proposta legislativa approvata dal Parlamento il 3 marzo prevede che le tariffe agevolate previste dal Conto Energia si applichino solo agli impianti che verranno allacciati alla rete entro il 31 maggio, cioè nel giro di due mesi e mezzo. Si tratta quindi di una consistente riduzione degli incentivi all’energia solare – non a caso il decreto è stato ribattezzato 'ammazzarinnovabili' – che è peraltro caratterizzata da grande incertezza per il futuro.
Entro il 30 aprile infatti dovrà essere emanato un nuovo decreto per regolare il finanziamento degli impianti che verranno realizzati dal primo giugno in poi. Bisogna inoltre far notare che i tempi di allacciamento sono compositi, nel senso che dipendono da più fattori: la velocità dell’iter autorizzativo, i tempi di costruzione dell’impianto e soprattutto l’efficienza di ENEL nell’allacciare l’impianto finito alla rete. Difficilmente tutto ciò ha tempi inferiori ai sei mesi; questo vuol dire che di fatto il limite temporale del 31 maggio esclude tutti gli impianti fotovoltaici che non siano già allacciati in questo momento o comunque quasi terminati in tutti i loro aspetti.
Originariamente la proposta firmata dal ministro Romani prevedeva un tetto annuale di finanziamenti fissato a 8000 MW complessivi e questo era il punto su cui si erano concentrate le proteste dei sostenitori dell’energia solare. Il paletto è stato rimosso, ma i dubbi rimangono: fra gli altri, Legambiente e le confederazioni di produttori APER, Assosolare e GIFI hanno manifestato forti preoccupazioni sul futuro del mercato dei pannelli fotovoltaici e sulle ripercussioni che potrà subire in seguito a questa stretta legislativa.
Da un lato si colloca un settore che da pochi anni ha iniziato faticosamente a decollare e a creare un indotto e dei posti di lavoro che rischia di collassare, lasciando in vita solo le aziende che lavorano più sul mercato estero, da sempre più sensibile e sicuramente meno ostico dal punto di vista burocratico rispetto a quello italiano. Dall’altro lato persiste il timore che la svolta energetica verde che si stava lentamente avviando subisca sul nascere una battuta d’arresto fatale.
L’Unione Europea ha imposto come obiettivo per il 2020 – cioè fra solo nove anni – di giungere a una percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili pari ad almeno il 17% di quella totale. Solo nel 2010 l’incoraggiante risultato italiano è stato pari a circa 3000 MW di impianti fotovoltaici installati secondo l’associazione europea delle industrie del settore (che pure considera i dati italiani non del tutto attendibili).
Purtroppo però, nonostante questi dati parzialmente promettenti, le statistiche (queste sicuramente attendibili) di ENEA raccontano che soprattutto su energia solare e biomasse il ritardo italiano rispetto agli altri paesi comunitari è notevole (per fare un esempio, abbiamo una potenza installa derivante da queste fonti quindici volte inferiore a quella della vicina Austria).
Un altro aspetto sconsolante è la constatazione che fa la stessa ENEA presentando il suo Rapporto sulle Fonti Rinnovabili 2010, cioè che lo sviluppo delle fonti energetiche pulite, in particolare del fotovoltaico, è strettamente legata alla predisposizione di incentivi e agevolazioni fiscali. Seppur gravate da non poche criticità che in alcuni casi ne hanno fatto uno strumento di speculazione, la politiche fiscali di incoraggiamento come il Conto Energia hanno dato una spinta decisiva per lo sviluppo di questo particolare mercato in Italia.
Fra i commenti registrati in merito al decreto Romani, appare paradossale quello del presidente dell’ENI Paolo Scaroni, secondo cui “bisogna puntare sulle tecnologie di nuova generazione, dato che le rinnovabili che ci sono adesso sono 'obsolete'”. Gianfranco Miccichè punta invece il dito sulle gravi ripercussioni che avrà sul comparto produttivo e promette “mobilitazione contro un provvedimento giudicato da più parti la pietra tombale su un settore da decine di migliaia di posti di lavoro”. Sulla stessa lunghezza d’onda sono anche i suoi compagni all’interno della formazione Forza del Sud Razzi, Scilipoti e Polidori.
Un’ultima novità introdotta dal decreto interessa ai privati cittadini e il comparto edile: entro il 2017, nei nuovi edifici o in caso di ristrutturazioni, sarà obbligatorio fare ricorso all'energia verde. Presentata come proposta finalizzata a risollevare dalla crisi il settore dell’edilizia, sembra che si tratti in realtà di un timido palliativo in controtendenza con la linea generale del provvedimento.
Legambiente infine punta il dito verso l’energia nucleare, oggi principale 'rivale' delle fonti rinnovabili e sospettata di aver giocato scorretto nella competizione per il mercato energetico.
Purtroppo, per quanto possano essere considerate fantasiose, non sono affatto da escludere influenze anche da parte delle potenti lobby dell’industria petrolifera, che già in passato hanno dimostrato di farsi pochi scrupoli a giocare sporco pur di lasciare il primato nelle mani delle fonti fossili, che nel settore dell'energia rappresentano ancora e di gran lunga il business più consistente.