Si concluderà domani la decima sessione dell'Unccd, la Convenzione delle Nazioni Unite per il contrasto alla desertificazione. Quest'ultima consiste nell'impoverimento delle risorse del suolo, generato dagli effetti combinati di attività umane e fattori climatici. Per l'Italia un rischio concreto che mette a repentaglio agricoltura, allevamento e biodiversità.
È in corso in questi giorni, fino al prossimo 21 ottobre, la decima sessione dell'Unccd, la Convenzione delle Nazioni Unite per il contrasto alla desertificazione, cioè il degrado delle terre fertili che oggi viaggia alla velocità di 12 milioni di ettari all'anno. Ad accogliere la conferenza è la città di Changwon, in Corea del Sud, una scelta non casuale dato l'impegno nel recupero delle foreste che ha caratterizzato il Paese negli ultimi anni.
L'impoverimento del suolo - cui contribuiscono, oltre allo sfruttamento intensivo dei terreni e alla deforestazione, anche i cambiamenti climatici – non riguarda solo le aree aride, semi aride e sub-umide secche, ma anche territori soggetti a inquinamento chimico, a salinizzazione o a esaurimento delle falde idriche.
Un fenomeno ancor più preoccupante se si pensa che entro il 2050 la popolazione mondiale raggiungerà quota 9 miliardi di persone. A quel punto il problema della sicurezza alimentare potrebbe portare ad esplosione tutte le contraddizioni di un modello di sviluppo che, attraverso il sovra-sfruttamento delle risorse, espone a gravi rischi la sopravvivenza dell'intero pianeta.
Secondo l'annuario 2010 dell'ISPRA, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, la desertificazione interessa già, nelle sue forme estreme, oltre 100 Paesi, e minaccia la sopravvivenza di più di un miliardo di persone.
Ad essere coinvolti non sono solo i Paesi emergenti: in Europa, ha dichiarato recentemente il commissario UE allo Sviluppo, Andris Piebalgs, già 12 Stati membri hanno dovuto riconoscere il problema. Si tratta di Bulgaria, Ungheria, Slovacchia, Lettonia, Romania, Spagna, Grecia, Portogallo, Malta, Cipro, Slovenia e Italia.
In particolare, il nostro Paese è soggetto, per oltre un terzo del suo territorio, al degrado del suolo, con situazioni di particolare rischio nelle regioni meridionali, ma con scenari preoccupanti anche al centro e al nord.
In base alla cartografia sulla vulnerabilità ambientale realizzata dall’Unità di Ricerca per la Climatologia e la Meteorologia applicate all’Agricoltura (CRA-CMA), la Sicilia è la regione maggiormente esposta, con circa il 70% della sua superficie a rischio. Seguono Molise (58%), Puglia (57%) e Basilicata (55%). Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono esposte in misura compresa tra il 30 e il 50% del territorio, mentre Calabria, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Veneto e Piemonte tra il 10 e il 25%.
Una diversa gestione delle attività agricole è essenziale per contrastare la desertificazione, sia intervenendo sui rischi di contaminazione, che riducendo la pressione sul suolo e lo spreco delle risorse idriche.
Allo stesso tempo, garantire la continuità dell'agricoltura, laddove sostenibile, può contribuire alla protezione dei territori, dal momento che il loro abbandono si traduce spesso in processi di degrado e di erosione.
Poter agire efficacemente contro la desertificazione richiede però una consapevolezza diffusa circa lo stato dei suoli, ad oggi ostacolata anche dalla mancanza di una metodologia univoca di valutazione.
La sessione dell'Unccd potrebbe rappresentare un passaggio importante in questa direzione, qualora i lavori si concludessero, come auspicato, con un accordo sul monitoraggio delle zone aride, come precondizione per ottenere finanziamenti internazionali diretti al contenimento della desertificazione.