di
Andrea Romeo
14-06-2012
Cosa succede quando un vegano si ritrova a condividere il tavolo con commensali 'onnivori'? Andrea Romeo ci descrive i diversi tipi di interlocutori in cui si è imbattuto nel corso della sua ormai 'lunga' esperienza da vegano.
Seppur non ami le categorizzazioni, nella mia ormai 'lunga' esperienza di vegano sono arrivato alla conclusione – direi anche evidente - che esistano ben tre profili diversi di gente che si astiene dal mangiar carne (non per mancanza di cibo), ovviamente con le dovute sfumature e tratti comuni e dove ciascun individuo mostra, contemporaneamente, caratteristiche proprie peculiari.
A grandi linee possiamo comunque distinguere i cosiddetti 'vegani dalla nascita', gente che, alla stregua dei mangiatori di carne (e derivati), 'non ha scelto' ma - vuoi per motivi religiosi, vuoi per cultura, ideologia o etica - i genitori ne hanno deciso le 'sorti alimentari' sin dalla tenera età.
Abbiamo poi quei vegani diventati tali in età adolescenziale o perché hanno avuto la (s)fortuna di vedere sgozzare un animale (e trovarselo sul piatto), o perché semplicemente disgustati dal sapore della carne - cosa molto comune nei bambini - e i loro educatori non hanno insistito nel tentare in tutti i modi di obbligarli a nutrirsi di questo 'alimento' (con la tecnica dell'aeroplanino per esempio): chiamiamo questa seconda categoria 'vegani inconsapevoli' per il fatto che, seppur siano diventati tali di loro spontanea volontà, lo hanno fatto senza aver prima letto Animal Liberation di Singer o aver visionato Earthlings.
Infine la terza categoria, la più diffusa nell'Occidente odierno, è quella che definisco dei 'vegani coscienti', gente che è diventata vegana da adulta dopo anni di abituale intossicazione carnea e derivati (magari perché erroneamente convinti che fondamentali) e che, ad un certo punto della loro vita, dopo spossanti indagini, elucubrazioni e quant'altro, per i più svariati motivi, ha scelto di distaccarsi da questa pratica culturale.
Rimane il fatto che tutti questi individui siano accomunati da una consapevolezza e uno stile di vita che prevede la rinuncia alla violenza nei confronti dell'altro, e tutti devono fare i conti con una società che ha una visione, nella quasi sua interezza, 'opposta'. Così nelle interazioni con questa società, che invece vede come naturale l'uccisione di un maiale o di una pecora, ci si trova spesso in situazioni ambigue, soprattutto quando ci si ritrova nelle fatidiche 'tavolate miste' dove il dibattito sembra sempre (o quasi) inevitabile.
Mi sono imbattuto in diversi tipi di interlocutori e di risposte al mio status di vegano quando mi sono ritrovato a condividere il tavolo con commensali 'onnivori'.
Alcuni, quando realizzano che non mangi carne dopo averti ad esempio offerto un pezzo di salame, ti chiedono 'scusa', come se la salsiccia che avevano nel piatto fosse stata cucinata con la tua coscia e non con quella del maiale unico, originario, sacrosanto e legittimo proprietario. Oppure forse perché pensano che tu sia malato di chissà quale strana malattia o che sei seguace di una assurda religione e credono dunque di aver fatto una gaffe o, infine, perché in cuor loro forse anche essi in fondo credono che sia sbagliato uccidere un altro essere senziente giusto per accompagnare l'aperitivo con il salame: definiamo costoro come 'i sensibili'.
Altri, invece, dopo averti rivolto qualche domanda veloce e superficiale, ti mostrano una sorta di 'ghigno mefistofelico' affermando la mitica frase 'non sai che cosa ti stai perdendo', con uno sguardo che quasi vuol comunicare che il mangiar carne sia la cosa più estasiante che esista da cui, per l'appunto, li definisco 'gli estasiati'. Questa affermazione 'non sai cosa ti stai perdendo' ha senso se rivolta a quei vegani della prima categoria, quelli tali dalla nascita, perché in effetti questi non hanno mai provato la carne e quindi non sanno (e probabilmente non vogliono sapere) cosa si perdono, e lo stesso dicasi per i vegani della seconda categoria, dato che hanno sviluppato una nausea per la carne sin da adolescenti ed inoltre forse neppure rimembrano il sapore della 'tanto amata' pietanza.
Nel caso dei rappresentanti della terza categoria di vegani invece, ovvero coloro che hanno mangiato animali fino ad una certa età (diciamo almeno fino ai diciotto anni), questa frase li tocca particolarmente, poiché in effetti loro sanno bene che cosa si 'perdono', consapevoli della loro scelta effettuata con cognizione di causa in età adulta. Non metto in dubbio che per alcuni di questi il mangiar carne sia stato così presente nella loro vita che talora qualcuno potrebbe anche provare una sorta di 'mancanza' nel non poter prender parte ai banchetti, al rituale sociale, specie quando per i 'poveri vegani' (essendo di solito una minoranza) è prevista una semplice 'emarginante' insalata.
Ma è anche vero che la maggior parte dei vegani diventati tali in modo consapevole, pian piano ha sviluppato una sorta di disgusto per questo 'alimento' che, se agli esordi è soltanto (o soprattutto) psicologico, man mano coinvolge tutti i sensi. Così che per molti di loro, dunque, questa frase 'non sai che cosa ti stai perdendo', non ha effetto alcuno poiché ciò a cui essi hanno consapevolmente rinunciato col tempo si trasforma, in modo direi naturale, da 'porchetta' in 'porcheria'.
Ci sono poi 'i curiosi' che pongono domande a raffica come se i vegani venissero sul serio da un altro pianeta, con questioni del tipo 'e cosa mangi?', 'dove prendi le proteine?' 'fammi capire...”, etc.. Questi interlocutori di solito sono veramente interessati all'argomento, seppur molti (non tutti) rimangono spesso della 'loro' idea di fondo che prevede che l'uomo, in quanto 'onnivoro' (come tradizione vuole) debba nutrirsi di derivati animali, nonostante la letteratura scientifica in merito abbia sfatato questo mito da tempo.
Tralasciando 'i provocatori', persone che sostengono che 'la mia cena caga sulla vostra', infine ci sono coloro che hanno già affrontato (a modo loro) la tematica e che hanno alla fine concluso che il miglior modo di nutrirsi sia il loro (o meglio quello della loro cultura o di chi ne fa le veci), se non per motivi di salute quanto meno per 'gusto': del resto de gustibus... Questi ultimi sono i più 'audaci' interlocutori che un vegano possa trovarsi davanti in una tavolata, e li definisco come 'gli intellettualoidi'.
Alcuni recitano, a volte per scherzo e a volte sul serio, la ormai nota frase 'ma anche le piante soffrono', mostrando di avere problemi di pareidolia, ovvero quel fenomeno psichico genuinamente umano che vuole che gli umani vedano volti e forme animate in oggetti inanimati (ad esempio in una macchia sul muro, in ombra cinese o in uno smile come questo → :-)). Evidentemente questi percepiscono l'animalità in un carciofo o in una zucchina tanto da non riuscire a distinguere gli ortaggi da dei vitelli e per questo, nel dubbio, si nutrono sia degli uni che degli altri: ne deriva che costoro siano in realtà 'diversamente vegani'.
Alcuni intellettualoidi dicono che preferiamo gli animali agli umani e ci definiscono 'misantropi'. Sinceramente non capisco quale sia il legame tra l'essere vegano e l'odio nei confronti del genere umano nella sua interezza, anche perché la maggior parte dei misantropi in cui mi sono imbattuto sono tutti onnivori eppure non mi è mai passato per la mente di affermare che 'tutti gli onnivori sono misantropi'. Inoltre non mi risulta che assassini e guerrafondai predichino il veganismo.
In questo caso l'interlocutore mostra di soffrire problemi di simultanagnosia non considerando il fatto che per molti questa scelta è olistica, conseguenza anche del fatto che gli allevamenti – questo almeno secondo i dati di organizzazioni di un un certo spessore come la FAO – non solo sono violenti nei confronti dell'animale e dell'ambiente (causa di deforestazione e inquinamento), ma anche per l'uomo in quanto causa di aberrazioni come la fame nel mondo e lo sfruttamento delle risorse dei paesi più svantaggiati: alla luce di questi dati mi viene spesso da chiedermi chi sia il vero misantropo, se colui che si astiene da tali pratiche o chi le alimenta (homo homini lupus)? In effetti, chi non ha affrontato la tematica come si deve, manca di una visione globale che gli permetta di fare le dovute connessioni.
Altri membri di questa categoria chiamano in causa teorie scientifiche estrapolate qua e là ed applicate in modo a volte euristico, altre volte aleatorio, dall'uomo primitivo e le teorie di Darwin (nonostante Darwin fosse vegetariano e avesse accostato l'uomo alle scimmie frugivore) fino alla teoria dei canini e della catena alimentare, per giustificare e dimostrare la naturalezza del mangiar carne nonostante la cottura (e la cultura).
Dunque la carne si sarebbe sempre mangiata sin dalla notte dei tempi (ma anche le sacre scritture di tutte le religioni predicano l'amore universale sin dalla notte dei tempi, dato spesso omesso anche dai più mistici), teoria molto relativista che quindi giustificherebbe automaticamente anche l'omicidio, la prostituzione infantile e la guerra, anch'esse pratiche ben conosciute dall'uomo sin dalla preistoria.
C'è anche chi sfoggia teorie bislacche secondo le quali l'uomo era frugivoro e stava sugli alberi, quindi sarebbe poi sceso nutrendosi di carcasse (grazie all'adattamento) e, con l'avvento del fuoco - e quindi con la cottura dei cibi che sarebbe una evoluzione – avremmo perso l'istinto di nutrirci di animali crudi: fin qui tutto sommato potrebbe anche andare. Ma qualcuno arriva a sostenere che ci si siano rimpiccioliti i canini lungo questo percorso, una sorta di involuzione a causa dell'evoluzione grazie al fuoco: quindi denti che si allungano e si accorciano tutto per spiegare il consumo della cotoletta di pollo fritta invece che del pollo crudo.
Altri parlano di setta vegana, per cui questa scelta sarebbe il frutto di una qualche sorta di lavaggio del cervello effettuato da qualche chiesa o società segreta: in realtà è vero tutto il contrario. Infatti il veganismo segue un percorso del tutto razionale e si stacca dal modello dominante (voluto dall'alto) che ha determinato l'avvento di una società autistica, violenta e priva di senso critico, e si inserisce in un contesto che predica dal basso – e alla luce del sole - una migliore distribuzione delle risorse, una visione del mondo per il rispetto di tutti gli esseri viventi e che va contro le aberrazioni del sistema consumistico dominante il quale è fautore della distruzione dell'ecosistema in senso lato e che ingrossa pochi a discapito dei molti.
Al contrario la massa divora imperterrita tutto ciò che le passa davanti in nome di una tradizione alterata dal potere e resa fittizia e aliena dalla propaganda mediatica, non chiedendosi il perché di ciò che le succede attorno, che cosa comporti il loro 'consumo', da dove derivi il cibo che ingurgita con tanto fervore. Segue ciecamente quel sistema che coi suoi media la veicola verso il consumo esasperato, che con le sue industrie thanatocratiche è la causa del gigantesco fenomeno del 'bio-martirio', violenza che la massa ha accettato senza batter ciglio. Un modello che ha costipato miliardi di esseri viventi, umani e non-umani, in gabbie minuscole, che ha promesso benessere fittizio. In questo contesto mi viene in mente Victor Hugo nel suo celebre romanzo Notre-Dame de Paris dove, parodiando Virgilio, affermò che Immanis pecoris custos immanior ipse (Di un mostruoso gregge un padrone ancor più mostruoso).
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