di
Andrea Degl'Innocenti
29-04-2013
1989, nella fonderia Premoli di Rovello Porro un carico di alluminio radioattivo proveniente dall’Europa dell’Est viene inavvertitamente fuso, immettendo nell’aria e nelle acque una grande quantità di sostanze radioattive. Un'inchiesta di due giornalisti riporta alla luce il terribile incidente le cui conseguenze potrebbero perdurare sino ad oggi.
“Il primo allarme è scattato nove giorni fa. Sul fondo del torrente Lura, un corso d' acqua che solca le campagne comasche, ci sono tracce marcate di Cesio 137, un micidiale isotopo radioattivo. In poche ore i tecnici e gli esperti localizzano le aree più inquinate, la zona delle fonderie Premoli di Rovello Porro e Astra di Gerenzano, a cavallo tra le provincia di Como e Varese. Dopo una settimana di campionature ed analisi arriva la sorpresa: l'inquinamento radioattivo risale a 12-15 mesi fa. E sarebbe stata una confidenza arrivata dall'Enel di Caorso, con un anno di ritardo, a permettere di arrivare alla zona contaminata.”
Così scriveva il quotidiano La Repubblica il 20 maggio 1990. Oggi, a 23 anni di distanza (24 dall’incidente), una nuova indagine svolta da Massimo Bonfatti, presidente dell’associazione di volontariato Mondo in cammino e Paolo Scampa, presidente dell’Aipri (Associazione internazionale protezione raggi ionizzanti)e pubblicata da Greenreport, riporta alla luce uno scandalo dimenticato troppo in fretta, che anche a distanza di tempo potrebbe continuare a causare danni alla popolazione e all’ambiente.
Parliamo dell’incidente nucleare alla fonderia Luigi Premoli e figli Spa di Rovello Porro, in Lombardia, fra Como e Saronno, che i due giornalisti non esitano a definire “una Chernobyl italiana”. Era il 1989. La fonderia lavorava a pieno regime per creare i telai dell'Alfa 133. Poi, in una data che non è mai emersa come certa ma che con ogni probabilità si colloca fra il marzo ed il maggio di quell’anno, accade che un carico di alluminio radioattivo proveniente dall’Europa dell’Est viene inavvertitamente fuso, immettendo nell’aria e nelle acque una grande quantità di sostanze radioattive. Un’inchiesta dell’Espresso stimò la sorgente radioattiva fra i 600 e i 6mila curie di Cesio 137.
La nube radioattiva si sparse nell’aria, il cesio contaminò le acque del vicino torrente Lura, giungendo fino al Lambro, l’Olona ed il Po, ben 100 km più a valle. Ma nessuno segnalò l’incidente, cosicché per circa un anno la popolazione della vasta zona circostante continuò a vivere ignara del pericolo.
Fu proprio da alcune rilevazioni sul Po che dei tecnici della centrale nucleare del Caorso si accorsero dei dati radioattivi anomali. Così, proseguendo a ritroso lungo il fiume, e grazie ad una informazione confidenziale di qualche funzionario dell’Enel di Caorso, evidentemente informato dell’accaduto, che si giunse fino alla fonderia.
Dopo la scoperta, lafonderia venne chiusa e bonificata; alcune tonnellate d'asfalto, di terra e di detriti contaminati vennero prelevati e trasferiti nella discarica nucleare di Capriano del Colle. Poi il fatto fu rapidamente archiviato ed in pochi ne hanno parlato fino ad oggi. Fino all’analisi svolta dai due giornalisti e attivisti, che riporta alla luce una realtà inquietante che ancora oggi potrebbe continuare a causare danni alla popolazione.
Secondo le loro stime la radioattività media delle acque di tutto il tratto che congiunge il Lura al Po (circa 100 km) sarebbe stata – subito dopo l’incidente - di 1,22 milioni di Becquerel/mq, superiore di 2,19 volte rispetto ai limiti internazionali oltre ai quali è necessario chiudere un’area alla popolazione, vietando la pesca ed il pompaggio di acque agricole. Ma nessuna di queste misure è mai stata presa. E ancora oggi la radioattività risulta attorno ai 700mila Becquerel/mq, 1,26 volte in più rispetto ai limiti.
Inoltre la fusione potrebbe aver contaminato l’area di una zona vastissima con una radioattività che va dai 308 becquerel/mc ai 3.700 becquerel/mc, a seconda che la quantità iniziale di cesio fosse di 600 o 6000 curie. Si consideri che 500 becquerel/mc sono considerati una dose potenzialmente letale, se inalata. Ma della nube radioattiva nessuno ha mai parlato. Semplicemente non se ne sa nulla.
I due ricercatori invitano le autorità competenti a rispondere ad alcune domande circa la sicurezza (passata ed attuale) della zona e a rendere pubblici i dettagli dell’accaduto: dove si diresse la nube radioattiva? Verso la Francia, la Svizzera o verso Milano? Ci sono dei valori anomali legati alla salute e alla mortalità della popolazione della zona?
Nei giorni successivi all’uscita dell’articolo, tanto le attività sanitarie si sono affrettate a rassicurare la popolazione evitando tuttavia di fornire dati dettagliati riguardo all’accaduto. La Asl di Como ha assicurato che la situazione è costantemente monitorata. “Facciamo periodicamente incontri con tutti gli enti coinvolti. I sopralluoghi non hanno mai dato esiti preoccupanti. In particolare, poi, non è mai emerso alcun dato epidemiologico particolare tra i residenti della zona”.
Giuseppe Sgorbati, direttore tecnico-scientifico di Arpa Lombardia, si è limitato a commentare lo stato attuale dello stoccaggio delle scorie, senza fare riferimento all’incidente: “Il materiale conservato nel deposito della Premoli, a Rovello Porro, sarà messo in sicurezza entro la fine dell’anno, anche se rimarrà in loco fino all’individuazione di un sito nazionale idoneo al ritiro definitivo di questi rifiuti”.
Insomma, sulla questione rimane un alone di mistero che non sembra destinato a sciogliersi, almeno non per adesso. E le domande dei due giornalisti aleggiano inquietanti sull'intera popolazione della zona.
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