In Italia sale al 29% la disoccupazione giovanile, vale a dire di persone comprese fra i 15 ed i 24 anni di età. Nuovo record negativo dal 2004, anno in cui hanno avuto inizio le serie storiche mensili. A comunicarlo è l'Istat che, in base a dati destagionalizzati e a stime provvisorie, ha mostrato come allo stesso tempo risulti invariato il numero di occupati, pari al 57%. Questo, mentre in Germania avviene esattamente il contrario.
Il nostro è sempre stato il Paese europeo con il più alto tasso di disoccupazione giovanile, oltre che (forse una conseguenza di ciò) quello in cui i giovani vanno a vivere da soli in età più avanzata. Un fenomeno noto da decenni, attribuito a cause di tipo economico, sociale, culturale.
Ora, però, le cifre iniziano ad essere allarmanti anche nel contesto italiano: a dicembre 2010, infatti, la disoccupazione giovanile (15-24 anni) è salita al 29%, con un aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 2,4 punti percentuali rispetto allo stesso mese del 2009. “Un nuovo record” per i tecnici dell'Istituto di statistica, che non si vedeva dal 2004. Il tutto mentre in Germania la situazione è all’estremo opposto, con un calo dei senza lavoro a gennaio di 13.000 unità a 3.135 milioni, il livello più basso dal novembre del 1992.
Al di là dell’inaspettata e prorompente ripresa economica tedesca, ciò che è fortemente diverso fra i due Paesi è il differente approccio che si insegna ai giovani ad avere con la scuola, il lavoro, il senso civico e l’educazione. Ciò significa che generalmente un ragazzo tedesco cresce in un contesto sociale e culturale profondamente diverso, ormai, rispetto ad uno italiano.
In Italia è da tempo immemore la famiglia a prendersi cura delle mancanze dello Stato e, senza considerare l’attaccamento in certi casi eccessivo alla famiglia e alla mamma di molti italiani (non è solo uno stereotipo e, ci mancherebbe, ha anche degli aspetti positivi), in Germania l’occupazione giovanile può beneficiare soprattutto del cosiddetto 'sistema duale' caratterizzato dall’alternanza scuola/lavoro. Con esso il giovane apprende il mestiere in un centro di formazione professionale (Internationaler Bund, Kiezkuchen, ecc.) o in un’azienda (Betrieb), frequentando allo stesso tempo, per un paio di giorni la settimana, la scuola (Berufsschule).
Questo fenomeno non solo porta la Germania ad avere un livello di disoccupazione giovanile inferiore rispetto agli altri Paesi, ma insegna meglio ai giovani apprendisti un mestiere. Inoltre, cosa altrettanto importante, predispone l’individuo ad essere indipendente. Da noi, invece, dopo secoli di università durante la quale chiunque, almeno una volta, si chiede quale sia l’utilità di un tale calvario e quali sbocchi potrà effettivamente dare in un Paese in cui è ancora più importante avere la conoscenza giusta o il legame di parentela (se non addirittura un bel sedere) che non dei meriti o delle competenze, si arriva ad avere più di trent’anni senza che si sia lavorato nemmeno un giorno in vita propria.
Ci è arrivato anche il ministro del Lavoro Sacconi, per il quale “le incertezze che permangono sulla ripresa contraggono le nuove assunzioni e inducono a consolidare anche attraverso gli ammortizzatori sociali i rapporti di lavoro in essere”.
“Per i giovani – continua il ministro - il piano del governo, anche con misure specifiche di incentivazione, si rivolge soprattutto all'investimento nelle competenze e, in particolare, ai contratti di apprendistato che integrano apprendimento e esperienza lavorativa”.
Ottima intuizione. Ma in un momento in cui, volendo di fatto eliminare l’articolo 41, si sta rendendo la vita dei giovani italiani ancora più precaria di quanto non sia già, è difficile dare credito alle dichiarazioni di un qualunque ministro del governo di Berlusconi che, intervenendo all’assemblea di Confartigianato, ha ribadito: “la Costituzione è molto datata, si parla molto di lavoro e quasi mai di impresa, che è citata solo nell’articolo 41. Non è mai citata la parola mercato. Pensiamo a una legge ordinaria, ma serve anche riscrivere l’articolo 41 della Costituzione”.
Impresa, mercato. Ecco cosa importa. Altro che la disoccupazione giovanile. A fargli eco il ministro Giulio Tremonti che alla festa nazionale della Cisl ha lamentato che l’Italia è un Paese che ha “una quantità impressionante e crescente di regole, che hanno l'effetto di un blocco oltre il bisogno: una ragnatela che fa anche paura”. Regole? In Italia? È vero, ce ne sono troppe. Forse per questo nessuno le rispetta.
Per fortuna che in Italia c’è l’opposizione a prendersi cura dei più giovani e delle garanzie per il loro futuro. Per Francesco Boccia, coordinatore delle commissioni economiche del Pd, “l'aumento della disoccupazione giovanile non è una notizia improvvisa. Va così da due anni e da due anni arrivano solo giustificazioni di circostanza. Ora abbiamo superato il livello di guardia: quando in un Paese un giovane su tre non lavora (al sud il dato è di 2 su 3 in molte province), quel Paese non ha futuro”. La proposta del Pd, quindi, è “tasse zero per i giovani neo assunti - aggiunge Boccia -. Lo chiediamo da un anno ma la risposta del governo è stata sempre no. Ora chiediamo un atto di coraggio”.
L’atto di coraggio, caro Boccia, è continuare ad essere italiani, quando per ottenere uno straccio di garanzia sul posto di lavoro si rischia di andare avanti per anni da precari, con collaborazioni a progetto o rinnovi dei contratti (quando si è tanto fortunati da averne) da un mese con l’altro. Una situazione insostenibile che scoraggia sempre più persone, e che non permette più a molti di coloro che oggi hanno dai 35 anni in giù di potersi anche solo sognare di mettere su casa o famiglia. Mentre nel resto d’Europa i loro coetanei si sono resi indipendenti economicamente a poco più di vent’anni di età, e mentre nel nord Africa scendono in piazza per cacciare chi, riempiendosi la bocca di belle parole e vacue promesse da prima che nascessero, si deve ormai dare alla macchia se non vuole fare una fine ben peggiore.