di
Elisa Magrì
09-03-2011
Rispetto all'anno passato la disoccupazione è in crescita in tutte le fasce di laureati, aumentano i contratti atipici e diminuisce il potere d'acquisto delle retribuzioni. A questo si accompagna la tendenza a ridurre al minimo il sistema pubblico per favorire la formazione privata e rendere meno accessibile alle fasce economicamente deboli la formazione universitaria. Un vero e proprio 'delitto allo studio'.
Fanno discutere i dati diffusi da AlmaLaurea, consorzio pubblico che oggi rappresenta 62 Università, nell' ultimo rapporto, presentato il 7 Marzo a Roma nella sede della Crui, sulla condizione occupazionale dei neo-laureati italiani.
L'indagine ha coinvolto 400mila laureati (oltre 113mila con laurea triennale o di primo livello; 48.500 con laurea specialistica; oltre 13.000 con laurea a ciclo unico, ovvero laureati in medicina, architettura, veterinaria, giurisprudenza) intervistati nel 2010 a pochi anni di distanza dal conseguimento del titolo (si tratta di laureati del 2009, del 2007 e del 2005).
Il quadro è sconfortante: rispetto all'anno passato, la disoccupazione è in crescita fra i laureati triennali (dal 15 al 16%), ma anche fra i laureati specialistici biennali (dal 16 al 18%) e persino fra i laureati nei settori 'forti', come ingegneria (dal 14 al 16,5%). A un anno dall'acquisizione del titolo trovano lavoro stabile il 46,2% dei laureati di primo livello e il 35,1% dei laureati specialistici, ma si dilata la consistenza del lavoro atipico (45,2% dei laureati a ciclo unico) e del lavoro nero.
Ancora, le retribuzioni perdono ulteriormente potere d'acquisto rispetto alle indagini precedenti (una contrazione del 4% tra i triennali e gli specialisti del ciclo unico e del 5% tra gli specialisti biennali). Apparentemente la situazione è più rosea per i laureati da 5 anni, con un tasso di occupazione dell'81%, ma questi hanno visto il valore reale delle loro contribuzioni ridursi del 10%.
A far riflettere, però, è che le differenze occupazionali fra Nord e Sud siano rimaste sostanzialmente immutate negli ultimi anni. In particolare la classe sociale di provenienza influenza ancora la scelta del percorso formativo (laureati in Medicina più frequenti fra le famiglie di estrazione borghese, piuttosto che in quelle di estrazione operaia), ed è significativo che i laureati di estrazione borghese possano contare, più dei colleghi di famiglie operaie, su contratti di lavoro stabile (73% contro 69%), soprattutto a carattere autonomo (30 contro 17%). Inoltre l'accesso alle professioni liberali (giurisprudenza, ingegneria, medicina, farmacia) si tramanda ancora, quasi fisiologicamente, di padre in figlio, secondo una tendenza che si osserva oggi anche in altri settori (chimica, architettura, economia, psicologia).
Il rapporto è rimbalzato negli ultimi giorni su tutte le testate come un campanello d'allarme, ed effettivamente la questione della disoccupazione giovanile rappresenta una piaga da non sottovalutare in nessun modo (secondo i tassi Istat i giovani senza lavoro in Italia sono il 30%). Dal canto suo, la Commissione Europea rilancia il monito a raggiungere una soglia formativa più alta, ma sono ancora insufficienti le iniziative varate in ambito europeo per sostenere concretamente la ricerca e l'occupazione.
Occorre, perciò, cercare di profilare delle strategie alternative per interpretare il fenomeno e reagire ad uno scenario, che disegna, in buona sostanza, una forte crisi della sfera della cultura e dell'educazione. Come è noto dalle stime dell'Ocse, l'Italia è fra i paesi europei più avanzati all'ultimo posto per investimenti nella formazione: l'Università e la ricerca non sono nell'agenda dei vari governi che si sono susseguiti negli ultimi anni, nonostante l'Europa dichiari che la formazione sia il volano della crescita. Ma di quale formazione si parla?
Da un lato, grava in Italia il sottofinanziamento permanente degli Atenei, con pesanti ed evidenti ricadute di segno negativo: riduzione o esternalizzazione ai privati dei servizi, aumento delle tasse e tagli della didattica. Si tende a ridurre al minimo il sistema pubblico per favorire la formazione privata e rendere meno accessibile alle fasce economicamente deboli la formazione universitaria.
Secondo il dossier stilato da Sbilanciamoci gli idonei che in Italia avrebbero diritto alla borsa di studio (con cui pagare alloggio, trasporto, vitto, libri) sono 184.043. Se dovessimo dividere le risorse stanziate dallo Stato per il numero di studenti, si potrebbe affermare che il Governo concede 70,00 EUR a testa. L'andamento del finanziamento al diritto allo studio universitario durante il secondo e il terzo governo Berlusconi (giugno 2001-maggio 2006), il secondo governo Prodi (maggio 2006-maggio 2008) e il quarto governo Berlusconi (maggio 2008-attualmente in carica) delinea, secondo lo studio di Sbilanciamoci, un vero e proprio 'delitto allo studio'.
Da un altro lato, però, il rapido aumento della disoccupazione verificatosi a partire dagli anni '80 in tutta l'Unione Europea pone la necessità di ripensare e modificare i fattori di domanda e offerta che regolano ancora il mondo del lavoro. Quest'ultimo attualmente, nella sua 'flessibilità' abbrutita da compensi inadeguati e condizioni restrittive, richiede urgentemente proposte di politiche sociali ed economiche affidabili ed efficaci per ridare stimolo all'occupazione (e qui si consiglia di leggere il recente intervento in merito di Michele Dotti), e saperne gestire la domanda. Si auspica, in altre parole, l'adozione di misure ragionate e coerentemente applicate per imprimere al più presto una svolta ad uno stallo che minaccia oggi soprattutto le generazioni più giovani, le più incolpevoli.