Si cresce anche attraverso il dolore del parto

Di recente ho fatto visita a una conoscente alle ultime settimane di gravidanza e quindi prossima al parto. Il suo primo parto. In questi casi, dopo i convenevoli e la gioia condivisa di un evento così bello, si finisce sempre per parlare del momento del parto, soprattutto se si tratta di una donna alla prima esperienza. E con la parola "parto" automaticamente vengono fuori la parola "dolore" e la parola "paura".

Si cresce anche attraverso il dolore del parto

Marìca Spagnesi collabora anche a Llht.org

A pensarci bene, non ho mai sentito una donna, almeno tra quelle che conosco, dire di essere impaziente di partorire, se non spinta dal peso e dalle difficoltà delle ultime settimane. E' difficile che, quando si è tra mamme e ci si ritrova a parlare di questa esperienza, ci si focalizzi su qualcosa di positivo. Si parla del travaglio lungo mille ore, delle difficoltà che abbiamo incontrato, del bambino che non scendeva, dell'ossigeno che non arrivava, dei punti con cui ci hanno ricucito anche se non abbiamo fatto un cesareo. Insomma sembra un bollettino di guerra, una guerra a cui siamo sopravvissute per un caso fortuito o per l'intervento puntuale della medicina o di quel dottore che ci ha salvato, noi e il nostro bambino.

Quando ho fatto la mia preparazione al parto (tre corsi e cinque o sei libri letti, esercizi fisici e mentali e tutto quello che avrebbe potuto aiutarmi), avevo anch'io paura. Paura del dolore. Nei corsi di preparazione (almeno quelli che si tengono negli ospedali e che ho frequentato io, non so degli altri) l'argomento dolore è affrontato in modo quasi distante. Un po' come dire che lo devi sopportare e che magari un po' di respirazione fatta bene ti può aiutare a sopportare quel momento che poi, per fortuna, passerà.

Mi chiedo, però, come mai non si parli mai davvero profondamente di cosa sia il dolore. Almeno tra mamme. Pensiamo sempre a come evitarlo e, se non si può evitare, ne abbiamo paura. Non si parla mai davvero di come accoglierlo, come farlo entrare dentro. Invece ci predisponiamo a combatterlo o evitarlo, magari con un'epidurale, come dice la mia conoscente tranquillizzata dal fatto che i progressi della medicina le consentono di non soffrire. Non mi permetterei mai di giudicare in questo senso però la cosa mi fa pensare. Molto.

Mi fa pensare. E' mai possibile che la natura ci obblighi a un dolore che non possiamo sopportare? Non è quanto meno sospetto? E' mai possibile che l'evento più naturale del mondo e col quale si perpetua la vita abbia bisogno di un'anestesia per compiersi? Come mai non ci facciamo queste domande?

Quando ho partorito non ero più brava e più consapevole delle altre mamme. Il mio atteggiamento non era neppure di una donna tanto sveglia e che si facesse particolari domande. Prova ne è che ho partorito in ospedale e medicalizzata esattamente come la maggioranza delle donne. Ero solo curiosa e sentivo di voler fare quell'esperienza senza alcuna anestesia perché volevo "sentire" nascere i miei figli e sentirmi nascere, io, come mamma. Ne avevo bisogno.

La mia esperienza è stata fortissima e il dolore di cui si parla non ha nulla a che vedere con le sensazioni che accompagnano la nascita. Non si dovrebbe neppure parlare, a ben vedere, di dolori, ma di "sensazioni da parto". Perché sono un'altra cosa. Sensazioni fortissime, impegnative e incredibili, certo, ma che non si possono liquidare di sicuro come semplice dolore. Non è il dolore del mal di denti, non quello di una ferita, di una frattura, di un colpo ricevuto. Niente a che vedere col dolore per come lo intendiamo. Eppure nessuno ce lo dice o, almeno, tra le mamme questa non è la regola che dovrebbe essere.

Eppure esiste un altro modo. Non solo quello di frequentare i circuiti giusti in cui si parla invece del parto attivo, consapevole, indolore, dolce e altro ancora, ma quello, semplicemente, di rimettersi in contatto con noi stesse, con la nostra femminilità, con il nostro centro, con la nostra natura. Sicuramente ci si può far aiutare, informarsi e frequentare i corsi giusti nei posti giusti a contatto con chi può assisterci nella maniera giusta ma molto si trova dentro noi stesse.

Il parto è un viaggio avventuroso dentro di noi, dentro il nostro corpo e la nostra anima, l'esperienza più straordinaria del mondo, non solo perché stiamo mettendo al mondo un figlio ma per la conoscenza (per non dire illuminazione) che possiamo raggiungere e di cui possiamo essere protagoniste.

Durante i miei parti e pur avendo partorito in condizioni di certo non agevoli o di aiuto in questo senso, ho fatto chiarezza su più di qualche mistero, ho raggiunto i nodi in cui nasce la paura e li ho visti sciogliersi uno ad uno. Sono stata portata in un'altra dimensione dalla quale tutto è visibile e dove tutto è insieme, unico, conseguente. Ho avuto la sensazione netta e precisa che non fossi io da sola a farlo. C'era qualcosa che si stava compiendo a cui avevo prestato il mio corpo in modo così naturale e semplice ma non ero io, non solo io. O meglio ero lo strumento ma anche la forza stessa della vita, io stessa. Come non ci fosse più differenza tra me e quella forza, quasi fossimo la stessa energia, come un ritorno a prima ancora che ci differenziassimo.

Ero come in uno stato di trance, ero partita con l'idea del viaggio ma non pensavo certo di andare così lontano. Ero come una spettatrice di uno spettacolo la cui protagonista ero ancora io. Era come se non fossi una cosa diversa dai miei bambini che stavano nascendo, come se quella visione chiarissima di unità fosse la scoperta, la rivelazione del segreto che non siamo capaci di svelare o di accettare.

Le sensazioni fortissime, quelle durante le quali mi sono sentita in difficoltà, come sorpresa, meravigliata, mi hanno insegnato la calma con la quale il dolore ci attraversa per farci diversi, cresciuti, nuovi. Oltre le visioni, ci sono le parole che vengono alla mente e queste si uniscono tra di loro per comunicarci la strada. Le mie erano visioni di energia che si sprigiona nei movimenti delle megattere nell'oceano e poi, superate quelle, la calma del fondo del mare in cui mi vedevo dentro, tranquilla, in una serenità di totale consapevolezza e semplicità. Come un ritorno all'essenza.

La voce diceva di fidarmi, di lasciar fare, di essere aperta e senza difese. Era la mia voce ma anche non era la mia. Era come il corpo e l'anima in totale rispondenza.

Non c'è stata voce al di fuori che potesse disturbarmi, né il freddo delle luci che potesse distrarmi, né i tempi non miei che potessero fare nulla contro di me, né la gente intorno indifferente e indaffarata che potesse urtarmi tanto ero interessata e presa da quelle sensazioni. Tanto ero felice di sentire.

Questo bisognerebbe dire alle donne che hanno paura del dolore.

Ho pensato spesso a cosa sarebbe stato se solo avessi potuto essere libera in quei momenti di fare tutto questo in altre condizioni. Condizioni semplici, naturali e nella dolcezza e nella calma intorno e nel rispetto totale del momento di assoluta concentrazione di forze e di magia.

Ma non credo che, in quel caso, mi sarebbero rimaste le parole per raccontarlo...

 

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