Due nuovi studi, prodotti in California, confermano l'aumento della temperatura globale e ridimensionano il ruolo dell'effetto 'isola di calore urbano', che secondo scettici e negazionisti starebbe distorcendo i dati sul cambiamento climatico generando eccessivo allarme.
Uno studio condotto nell'ambito dell'Università di Berkeley - con la partecipazione di fisici, climatologi e statistici statunitensi, tra cui anche il premio Nobel per la Fisica, Saul Perlmutter – si è proposto di offrire risposte credibili e rigorose alle argomentazioni di quanti non credono che sia in atto un aumento delle temperature a livello globale.
La ricerca intende rispondere soprattutto allo scetticismo generato dal Climategate esploso nel 2009, prima della conferenza sul clima di Copenaghen, con l'hacking di circa mille e-mail da un server presso l'unità di ricerca sul clima della University of East Anglia, l'Hadley Centre, uno dei maggiori istituti internazionali per lo studio del clima.
La vicenda riguarda presunte manipolazioni di dati compiute da alcuni ricercatori per avallare l'ipotesi di un maggiore peso delle attività umane nel determinare gli attuali cambiamenti climatici e dipingere, così, un quadro più fosco di quanto non sia effettivamente. Le indagini condotte a seguito degli eventi negli Stati Uniti e in Gran Bretagna hanno escluso responsabilità in tal senso da parte dei ricercatori, tuttavia la vicenda ha contribuito a minare la credibilità degli studi sul cambiamento climatico.
Il Berkeley Earth Project dà un'ulteriore spallata alle argomentazioni dei negazionisti, dimostrando che le temperature sono salite costantemente nel corso degli ultimi decenni e in particolare di circa un grado centigrado a partire dalla metà degli anni 1950.
Le registrazioni delle temperature effettuate dal team di Berkeley, analizzando circa 40mila stazioni meteorologiche di tutto il mondo, confermano i dati già raccolti da altri scienziati in studi precedenti, in particolare quelli effettuati dalla statunitense National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), dal Goddard Institute for Space Studies della Nasa e dall'Hadley Centre nel Regno Unito.
Secondo il coordinatore del progetto, Richard Muller, “ciò conferma che questi studi sono stati fatti con cura e che potenziali errori individuati dagli scettici del cambiamento climatico non compromettono seriamente le loro conclusioni”.
La ricerca risponde anche alle preoccupazioni circa il rischio che l'effetto isola calore urbano - cioè la presenza di un microclima più caldo nelle città rispetto alle aree circostanti - possa inficiare il dato complessivo, amplificando erroneamente le valutazioni finali.
Secondo uno dei membri del progetto, Robert Rhode, il calore urbano è un fenomeno reale a livello locale, ma non contribuisce in modo significativo alla crescita della temperatura media globale, perché le regioni urbane ammontano a meno del 1% della superficie terrestre.
Sullo stesso tema è stato pubblicato la scorsa settimana uno studio dell'Università di Stanford, che ha tentato di determinare l’impatto dell’isola di calore sul riscaldamento climatico globale per verificare se questo stia falsando le valutazioni dei ricercatori. La ricerca stima tale effetto sul riscaldamento climatico per una percentuale compresa fra il 2% e il 4%, mentre il maggior contributo proverrebbe dalla combustione di combustibili fossili e dai gas a effetto serra.
Le conclusioni dei due gruppi di scienziati confermano un quadro le cui possibili conseguenze sono già oggetto di analisi nel mondo accademico e in ambito politico.
Uno studio del governo britannico, diffuso il 20 ottobre, sostiene che milioni di persone si sposteranno dalle zone più vulnerabili ai cambiamenti ambientali globali nei prossimi 50-60 anni e che la questione dovrebbe diventare una priorità delle agende politiche nazionali quanto internazionali.