di
Andrea Degl'Innocenti
29-11-2011
Il vertice di Durban sembra già presentare il primo verdetto: l'abolizione del protocollo di Kyoto come patto di riferimento sul clima. Le nazioni più potenti del mondo dichiarano di volerlo sostituire con un progetto più ambizioso, ma nei fatti sembrano voler curare solo i loro interessi. Intanto i segni del cambiamento climatico si fanno sentire fra le tribù indigene: "il mondo deve ascoltare il pianto della terra, che sta chiedendo aiuto".
A 14 anni dalla sua stesura, il protocollo di Kyoto sembra destinato ad andare in pensione. Sarà questo, probabilmente, il primo verdetto della conferenza mondiale sui cambiamenti climatici che si sta tenendo in questi giorni a Durban, Sud Africa. Al suo posto, si dice, verrà stipulato un accordo più radicale. Difficile a credersi, se già i paesi industrializzati sono stati incapaci di attuare le misure precedenti.
Ad ogni modo la bocciatura di Kyoto sembra essere l'unica questione che mette d'accordo tutti alla conferenza di Durban. Perlomeno tutti quelli che hanno voce in capitolo nel prendere decisioni sul futuro del Pianeta. Secondo Artur Rung-Metzger, negoziatore della Ue, l’umanità ha bisogno di un programma molto più ambizioso per frenare il surriscaldamento del pianeta.
Dall'altra parte, ci sono le posizioni dei rappresentanti statunitense e cinese, entrambi d'accordo nell'abolire il protocollo. Un po' meno, forse, nello stipularne un altro altrettanto vincolante. Jonathan Pershing, delegato Usa, è stato piuttosto chiaro nel suo discorso: “Non accetteremo accordi legalmente vincolanti per gli Stati Uniti - ha dichiarato - se non saranno altrettanto vincolanti per altri Paesi di peso equivalente”.
L'allusione è evidentemente alla Cina, fino ad ora protetta dal suo status di paese emergente (che dunque ha contribuito in maniera minore alla situazione attuale) nonostante sia il maggior inquinatore al mondo. La Cina, dal canto suo, si dice disponibile alla svolta verde, a patto che si tratti di una decisione interna al paese e non vincolata da patti esterni.
Ad anticipare tutti è il Canada. Peter Kent, ministro dell'ambiente, ha lasciato intendere che la sua nazione abbandonerà definitivamente il Protocollo all'inizio del prossimo anno. Ma che cosa si prospetta per il dopo Kyoto? Le posizioni dei grandi inquinatori suonano più come un modo per disfarsi di una convenzione fastidiosa, che come reali dichiarazioni d'intenti. Ad ogni modo sembra fuori d'ogni discussione che a decidere sul futuro del Pianeta saranno le stesse nazioni che ne stanno decretando il declino. Come troppo spesso avviene, si affidano le soluzioni dei problemi agli stessi soggetti che li hanno creati.
C'è addirittura chi avanza l'ipotesi che esista già un accordo d'interesse fra le nazioni più potenti del mondo, e che il vertice di Durban sia solo un pro forma per ratificare quanto già deciso. È quanto sostenuto dalla ong World development movement (Wdm) nel rapporto COP 17, Durban - A tipping point for the international climate talks.
Il rapporto rivela che i paesi ricchi - Usa, Gran Bretagna ed altri paesi sviluppati - avrebbero tenuto riunioni segrete per costringere i paesi poveri ad accettare risultati già predefiniti per Durban. Tali paesi utilizzerebbero “mezzi ingiusti, non democratici ed anche sleali per deviare a loro favore i negoziati sul cambiamento climatico”.
Tutto a scapito dei "poveri del mondo", dei popoli meno sviluppati, che niente hanno fatto per contribuire alla devastazione attuale, e che, ironia della sorte, saranno i più colpiti dai cambiamenti climatici. Le tribù indigene, ad esempio, già ne avvertono i primi sintomi. Riportiamo un significativo stralcio del dossier La verità più scomoda di tutte - Cambiamenti climatici e popoli indigeni presentato dall'associazione Survival International:
"Gli innu del Canada nord orientale hanno avvistato nel Labrador settentrionale degli uccelli che solitamente si trovano solo negli Usa o nel Canada meridionale, come la ghiandaia azzurra, e hanno misurato minori precipitazioni nevose durante i mesi più freddi e meno zanzare durante l'estate. I pastori di renne nenet della Siberia segnalano che i fiumi ghiacciati si sciolgono prima del tempo, ostacolando la migrazione primaverile delle renne, che sono costrette a nuotare invece che camminare sul ghiaccio".
"Anche le zanzare sono diminuite; i pastori di renne Tsaatan della Mongolia lamentano ripercussioni negative sulla crescita dei licheni e del muschio che alimenta le loro mandrie. Gli yanomami dell'Amazzonia brasiliana sono allarmati per le alterazioni delle piogge nella foresta e raccomandano al mondo di riconoscere il ruolo vitale che l'Amazzonia svolge nella regolazione del clima del pianeta, e l'impatto che la deforestazione ha sul riscaldamento globale".
Queste popolazioni lanciano un grido disperato ai grandi della terra. Un grido che si confonde con quello del Pianeta stesso. "Nel nostro paese - spiega Davi Kopenawa, portavoce degli yanomami - i cambiamenti climatici sono iniziati. I paesi ricchi hanno bruciato e distrutto molti chilometri di foresta amazzonica. Se abbattete i grandi alberi e date la foresta alle fiamme, la terra si inaridirà. Il mondo deve ascoltare il pianto della terra, che sta chiedendo aiuto".
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