Per chi avesse avuto qualche residuale dubbio, anche dopo la lettura dei precedenti articoli che abbiamo dedicato all’argomento ("Ebola, il nuovo incubo (l'ennesimo" e "Non preoccupatevi di Ebola (e iniziate a preoccuparvi di cosa significa)", arriva un’altra presa di posizione, stavolta pubblicata sulla rivista scientifica The Lancet. Lawrence Gostin, dello O’Neill Institute for National and Global Health Law di Georgetown (Washington), interviene affermando che “la risposta internazionale nell’Africa occidentale all’attuale epidemia di Ebola è stata frammentaria ed è giunta in ritardo”. E aggiunge: “Gli ospedali dei paesi colpiti sono diventati luogo di amplificazione della trasmissione della malattia poiché sono privi di sistemi di controllo rigorosi e non hanno modo di isolare i malati in maniera sterile e sicura. Di conseguenza, i pazienti terrorizzati hanno evitato gli ospedali diffondendo l’infezione nella comunità, costituita da miriadi di individui già provati da innumerevoli altre patologie, dalla malaria alle malattie croniche”.
“Anche gli operatori sanitari in quei paesi avevano e hanno paura e spesso si rifiutavano e si rifiutano di visitare i malati e di raccogliere campioni di sangue e urine. Le infrastrutture sanitarie necessarie a prevenire la malattia e a contenerla nello stadio iniziale restano fuori dalla portata dei più poveri. Gli Stati colpiti non hanno strutture adeguate, né laboratori, né sistemi di sanità pubblica e personale clinico preparato; non hanno strumentazioni per tenere sotto controllo le infezioni né protocolli da seguire; non formano gli operatori, non hanno attrezzatura ad alta biosicurezza né unità di isolamento, né tanto meno sistemi di comunicazione che possano diffondere le informazioni tra la gente. Tali paesi spesso organizzano cordoni militari per separare ampi segmenti di popolazione impedendo però in questo modo l’accesso al cibo, all’acqua pulita e alle cure. Tutto ciò vìola le norme internazionali di salute del 2005 che prescrivono alle nazioni di dotarsi di sistemi capaci di individuare le emergenze sanitarie e rispondere ad esse”.
Poi un passaggio altrettanto importante dell’intervento di Gostin: “La risposta non sta in farmaci non testati, quarantene di massa o aiuti umanitari”. La risposta sta nel dotare di strutture e sistemi adeguati i paesi più fragili, eliminando le carenze strutturali. Sei mesi dopo la diffusione del virus i piani di rafforzamento strutturale dei paesi africani sono stati ulteriormente posticipati, mentre 490 milioni di dollari sono stati destinati ad affrontare l’emergenza epidemica, ma così facendo, continuando a non dotare chi ne ha bisogno di ciò che sarebbe utile per fermare il virus, ci saranno persone che continueranno ad ammalarsi e altri soldi, in un circolo vizioso senza fine, saranno spesi per rincorrere l’emergenza.