Ecologia clinica: la vera storia delle intolleranze, anche alimentari

Le intolleranze risultano spesso difficili da individuare, poiché si manifestano in forma mascherata attraverso la comparsa di sintomi spesso scollegati fra loro e dalla sostanza o le sostanze che li hanno generati. Oggetto d'analisi dell'Ecologia clinica sono le reazioni avverse dell’individuo agli alimenti ed ai contaminanti ambientali.

Ecologia clinica: la vera storia delle intolleranze, anche alimentari
Quando valutiamo le intolleranze alimentari non possiamo considerare solamente la chiave di lettura fornitaci dalla medicina convenzionale, per la quale le intolleranze agli alimenti, sono determinate, come asserito ad esempio dall’European Academy of Allergy and Clinical Immunology, quasi esclusivamente da cause enzimatiche o metaboliche, cui aggiungere eventi ulteriori provocati da cause farmacologiche, da sostanze capaci di liberare istamina, tiramina, ecc. e da altri meccanismi come la Incompatibilità alimento-paziente o la Ipersensibilità alimento-paziente, con conseguente comparsa, dopo la assunzione dell’alimento, di una sintomatologia di tipo reattivo. Ovviamente ci troviamo nel campo delle reattività non allergiche e quindi non di reazioni immunitarie IgE mediate. Se considerassimo solo queste modalità come esplicative di situazioni da intolleranze alimentari e non alimentari, metteremmo da parte tutti i consigli e gli insegnamenti che ci vengono dagli studi effettuati nel campo della Ecologia Clinica, una scienza medica, la cui nascita possiamo far risalire addirittura all’intuizione dell’americano Edgar Allan Poe, sì proprio lo scrittore americano noto per essere considerato l’inventore del racconto poliziesco, della letteratura horror e del giallo psicologico: questi, infatti, per la prima volta faceva menzione e descriveva nel lontano 1839, l’esistenza di una “presunta malattia nascosta”. In realtà si erano mossi, senza volere, i primi passi verso la nascita di quella che sarebbe stata poi definita sindrome da Sensibilità Chimica Multipla o MCS, in seguito agli studi, effettuati oltre 100 anni più tardi, nel 1945 dal Dr. Randolph. Fu, infatti, il Randolph a pubblicare un articolo nel quale evidenziava la possibile insorgenza di una patologia definita “tossicosi allergica”, caratterizzata da astenia, debolezza muscolare generalizzata, difficoltà di concentrazione, sonnolenza e disturbi visivi, che riteneva determinata da basse esposizioni ma continue al monossido di carbonio prodotto dalle stufe a carbone utilizzate all’epoca in casa come riscaldamento: proprio questi elementi, probabilmente, erano la causa dello stesso odore nauseabondo che il Poe aveva riscontrato tanti anni prima nella casa dell’amico Usher. Il Dr. Randolph, allievo di Rowe, effettuava le sue diagnosi sulla base di un’anamnesi accurata e basava la sua terapia sulla eliminazione degli alimenti e delle sostanze sospettate, osservando poi la eventuale riduzione o scomparsa della sintomatologia negativa riferita dal soggetto. L’uso di questo approccio al paziente lo portò ad evidenziare che spesso i disturbi non erano causati solo dal tipo di cibo, ma soprattutto dalle sostanze con cui questo era trattato: si poteva riscontrare spesso la presenza di insetticidi, metalli pesanti, conservanti, ecc., tutte sostanze all’epoca meno controllate di quanto avviene ai nostri giorni, tanto da costringerlo a parlare, infatti, solo genericamente di “ipersensibilità verso le sostanze estranee”. Ai nostri giorni il maggior accreditamento ufficiale all’esistenza della Sensibilità Clinica Multipla o MCS, lo abbiamo avuto da quando tale sindrome è stata correlata con la malattia da stanchezza cronica e con la spasmofilia. Randolph arrivò alla conclusione, nei suoi studi che l’impiego ripetuto di cibo non tollerato tende a diminuire le capacità di adattamento individuali, causando un di-stress sull’asse ipotalamo-ipofisi-surrene ed attraverso i meccanismi della psico-neuro-endocrinologia, anche sul piano immunologico, a causa della mancata eliminazione delle omotossine, capaci di determinare quei quadri sintomatologici già suddescritti parlando della “tossicosi allergica”. La sua opera fu continuata da diversi allievi, fra i quali mi fa piacere ricordare il Dr. Lewith, mio tutor tanti anni fa, nel campo della Ecologia Clinica, il quale fu fra primi ad utilizzare strumentazioni bioelettroniche, come ad esempio il Vegatest, anche da me utilizzato ormai da venti anni, in sinergia con altre strumentazioni come l’EAV, l’Amsat, la Moraterapia, la Biorisonanza, ecc., attraverso le quali è possibile ora valutare non solo le intolleranze alimentari e quelle di altra natura, ma anche le condizioni di salute del soggetto in esame, attraverso un esame funzionale del suo organismo: in tal modo è così fattibile mettere in rilievo e prevedere quale o quali organi potranno essere interessati nel tempo da malattie differenti. L’innovativo uso a fini diagnostici di queste strumentazioni si è integrato così bene nella ricerca delle intolleranze ed ovviamente anche di eventuali dis-funzionalità organiche, tanto da farne il suo cavallo di battaglia, evidenziando l’importanza del loro riconoscimento e della loro eliminazione, ogniqualvolta ci troviamo nella necessità di attuare un piano di “disintossicazione totale del soggetto in esame”, indipendentemente dalla patologia da curare: dalla presenza di eczemi cutanei, alle esofagiti da reflusso, dalla presenza di patologie respiratorie recidivanti a situazioni di colon irritabile, da alterazioni del ritmo sonno – veglia alla presenza di cefalee improvvise senza apparente causa scatenante, da situazioni di obesità resistenti alla terapia alla esistenza di manifestazioni di nervosismo improvviso ed incontrollabile, dalla comparsa di coliche addominali impreviste al verificarsi di episodi pseudoallergici con presenza di riniti, congiuntiviti, starnutazioni, ecc., dalle condizioni di astenia generalizzata alle pseudodepressioni, ecc… e potremmo continuare ancora a lungo in questa enumerazione, cosa che faremo esaminando alcuni dei principi su cui si basa il successo dell’Ecologia Clinica. Secondo questa branca medica che con la classica Ecologia non ha niente a che vedere, riprendendo da questa solo parte del nome, i disturbi Ecologici Clinici che riescono colpirci possono essere definiti come disturbi causati in tutto o in parte da intolleranze a cibi e/o sostanze chimiche. Vedremo in seguito cosa può determinare l’insorgenza ed il perpetuarsi di tale situazione nel nostro organismo e come ad oltre 50 anni dalla nascita di questa corrente medica, il pacchetto dei soli motivi giudicati originariamente scatenanti, sia venuto nel tempo a rimpinguarsi: alle tre cause inizialmente considerate motivo della risposta patologica dell’organismo - cioè l’aumento dell’inquinamento ambientale di tipo chimico, elettromagnetico e radioattivo, il consumo degli alimenti fast food altamente trattati ed infine l’uso esagerato delle prescrizioni farmacologiche - si sono aggiunti altri elementi tossici esogeni ed endogeni atti a sollecitare in maniera patologica e differente il nostro sistema immunitario. La diatriba esistente fra questo approccio e quello cosiddetto scientifico, e spiegheremo in seguito cosa intendiamo ironicamente parlando delle magagne scoperte ad esempio nell’uso distorto del placebo comparato alla ricerca farmacologica, è determinato dal fatto che i risultati si ottengono attraverso prove, spesso acquisite con modalità differenti rispetto a quelle ufficiali. Altro bastone fra le ruote è determinato dal fatto che le intolleranze si presentano spesso in forma mascherata. Ciò significa che è difficile, per i non addetti ai lavori, pensare ad un’intolleranza che si presenti con sintomi quanto mai differenti da quelli che ci potremmo aspettare normalmente. Nel caso della farina, ad esempio, oltre ai classici sintomi respiratori possiamo avere anche depressione, malessere generale, dolori articolari, emicranie, ecc., che tendono a scomparire già 5 giorni dopo la sospensione dell’alimento, per riapparire in seguito ad una nuova assunzione spesso messa in atto arbitrariamente dal paziente, al quale la eliminazione del cibo a cui è intollerante determina un effetto da carenza, rapportabile spesso ad una vera e propria crisi di astinenza, durante la quale la assunzione dell’alimento paradossalmente dà un beneficio che si esaurisce in genere in un massimo di tre ore, per poi costringerlo ad una nuova assunzione, con una modalità di assuefazione che somiglia molto alla dipendenza da nicotina, alcoolici e droga. Nella prima fase di terapia, la eliminazione completa dell’alimento per almeno 2 -3 settimane determina la comparsa di una iper-reattività, con possibilità in caso di assunzione dell’alimento di una grave sintomatologia che può portare fino al collasso acuto. Tale possibile sintomatologia persiste fino a quando non si arriva ad una seconda fase, detta di sensibilizzazione latente, che si presenta in seguito alla sospensione per alcuni mesi dell’alimento. In questo periodo è possibile assumere il cibo una-due volte alla settimana senza rischi. Dopo un periodo di 12-18 mesi, il paziente diviene tollerante al cibo ed eventuali ripetute assunzioni, ma non quotidiane, non generano sintomi. In situazioni con intolleranze a più cibi, su decisione medica si può utilizzare una dieta di rotazione. È singolare constatare come in caso di intolleranze a più sostanze, la loro eliminazione se effettuata con attenzione certosina, soprattutto nei primi 21 giorni di terapia, spesso sia fonte di stupore nel paziente, che può osservare una riduzione del peso corporeo tanto maggiore, quanto più elevato sia il suo livello di intossicazione, fino ad avere, perdite, non infrequenti, anche di 4-5 kg di peso in pochissimo tempo: questa situazione si verifica quando alla corretta scelta dei cibi da eliminare, viene ad associarsi l’ottimo lavoro di drenaggio emuntoriale svolto dai reni, dal fegato, dall’intestino, dal polmone, dal pancreas, dalla cute, ecc., attraverso la stimolazione e la attivazione di tali organi mediante una oculata scelta ed uso di farmaci omeopatici o fitoterapici. Dobbiamo ricordare che qualsiasi tipo di intolleranza per causare una risposta nell’individuo ospite, deve aver determinato alterazioni a carico del suo sistema gastro-intestinale, attraverso continue stimolazioni negative, capaci di apportare un danno al suo sistema linfatico detto MALT, (Mucosa Associated Lymphoid Tissue), con conseguente alterazione del controllo della risposta immunitaria a livello del tratto gastro-enterico (GALT) e successiva lesione alla barriera protettiva della mucosa intestinale, che determina la penetrazione di tossine ambientali o esogene le quali, in altri momenti, non avrebbero potuto introdursi nell’organismo. L’alterata funzionalità del sistema MALT, infatti, determina una diminuzione delle immunoglobuline IgA secretorie, dette sIgA, con conseguente comparsa di patologie del tratto gastro-intestinale, alle quali per la mancata azione difensiva anche nei confronti delle altre mucose, si potranno aggiungere altri processi flogistici come sinusiti, tracheo-bronchiti, asma bronchiale, sindromi allergiche, atopie e patologie autoimmuni. La ripetuta sollecitazione operata da sostanze intolleranti, inoltre, apre le porte alla Disbiosi Intestinale che abbiamo già visto in un precedente articolo che consiglio di rileggere. Questa sintomatologia, inizialmente leggera, tende in caso di sollecitazioni ripetute ad aggravarsi fino ad avere anemia, sprue, muco e grasso indigerito nelle feci, diarree notevoli, disfunzioni cardiache, insufficienza degli emuntori epatici, pancreatici, renali, tendenza alla ipoglicemia ed alla ipertrigliceridemia, alterazione della coagulazione ematica da carenza di vitamina K, carenza di vitamina A con conseguenti disturbi dermatologici, aumento della uricemia ed alterazione dell’assorbimento del ferro, vitamina B12 ed acido folico, a causa della spesso presente condizione di Disbiosi Intestinale. Le intolleranze, quindi, risultano spesso difficili da individuare, poiché si manifestano in forma mascherata attraverso la comparsa di sintomi spesso scollegati fra loro e dalla sostanza o le sostanze che li hanno generati. La loro azione nociva presuppone che l’organismo sia già stato sollecitato da altre informazioni negative. In questo caso il soggetto sano risulta comunque in grado di difendersi attraverso un corretto lavoro degli organi emuntoriali, come vediamo nella prima figura (immagine 1), mentre il soggetto sollecitato in maniera eccessiva entra in quella fase definita di Immunoflogosi Sistemica, con blocco del drenaggio e conseguente alterazione psico-fisico-biochimica del sistema, seconda figura (immagine 2). È evidente che in una tale condizione di sovraccarico del Net-work organico, le intolleranze possono esprimersi in tutta la loro variegata sintomatologia, consentendoci in tal modo di evidenziare come sintomi in apparenza scollegati, abbiano in realtà la stessa o le stesse cause scatenanti. Detto ciò, se consideriamo le intolleranze come cause scatenanti in un soggetto già sovraccarico, mi trovo finalmente nella condizione di enumerare alcuni fra i sintomi legati ad intolleranze che spesso non vengono considerati tali perché i loro effetti sono visibili a distanza rispetto agli organi colpiti in via primaria dalla sostanza allergizzante. Per evitare di fare una enumerazione lunga e pesante di tutti i sintomi possibili, che consiglio di approfondire nei capitoli sulla Disbiosi Intestinale e sulle Intolleranze Alimentari nel libro S.O.S. dei malati!!! Omeopatia e Neo – Omotossicologia Integrata si mobilitano di F.S. Buccieri e M.L. Gabbrielli – Ed. Marrapese, ho preferito inserire due sintetiche clip art, inerenti il tema delle intolleranze (immagini 3 e 4).

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