Ecuador, la Chevron rifiuta la sanzione per danni ambientali

La Chevron torna sul piede di guerra decisa a non pagare la pesante sanzione comminatale dal tribunale ecuadoriano per i gravi danni ambientali prodotti dalla Texaco tra il 1964 ed il 1990. La multinazionale americana è decisa a ribaltare la sentenza. A tutti i costi.

Ecuador, la Chevron rifiuta la sanzione per danni ambientali
Ci eravamo occupati tempo fa della storica sentenza che un tribunale ecuadoriano ha emesso all’indirizzo della multinazionale Chevron per i pesanti danni all’ambiente procurati durante il periodo 1964-1990 dalla Texaco, inglobata dalla multinazionale nel 2001. Da allora la multinazionale si è detta vittima di una gigantesca frode ed ha dichiarato di voler ricorrere in appello per ribaltare la sentenza. Per questo ha attivato tutti i canali disponibili partendo dalla richiesta fatta al Giudice Zambrano di ottenere chiarimenti a proposito della sentenza. Ma non si è fermata a questo. Ha anche intentato un’azione contro lo Stato dell’Ecuador, davanti alla Corte Permanente di Arbitrato dell’Aia, e contro gli avvocati ed i leader della controparte davanti ad un Tribunale di New York, accusandoli di frode ed estorsione. Non è chiaro se l’Aia abbia qualche giurisdizione sulla materia; intanto in via cautelativa la stessa Corte ha ordinato all’Ecuador di non rendere esecutiva la sentenza affinché la Chevron non subisse la confisca delle piattaforme in alto mare o delle raffinerie. Questa sorta di contromisura preventiva fornita dalla Corte, tuttavia, non poggia su nessun fondamento giuridico, ma sull’urgenza di arginare il rischio che la dichiarazione degli avvocati della controparte, i quali hanno sostenuto di voler impugnare la sentenza di prima istanza davanti a fori internazionali per iniziare a sequestrare i beni della multinazionale, si trasformi in realtà. Non è certo che questa procedura sia totalmente scevra da vizi di forma, intanto la Corte, facendo un favore alla Chevron, ha pensato bene che prevenire è meglio che curare. Per quanto riguarda l’azione condotta direttamente in Ecuador, invece, James Craig, portavoce della Chevron, sostiene che il Giudice Zambrano non abbia tenuto conto di numerosi elementi cruciali per il processo ed ha basato il suo giudizio solo sugli studi commissionati dalla controparte e non ha considerato, invece, il lavoro condotto dal perito Richard Cabrera, nominato dalla Chevron ed incaricato di condurre una valutazione imparziale. Alla multinazionale, che cerca in ogni modo di scaricarsi dalle spalle quella pesante responsabilità, dà inoltre infinitamente fastidio che il Governo di Rafael Correa si sia più volte espresso in termini apertamente critici contro la Chevron e che più e più volte ha ribadito il proprio appoggio alla popolazione che l’ha citata in giudizio. Sempre Craig, in un’intervista rilasciata al settimanale Tierramerica, critica fortemente questo atteggiamento ostentatamente di parte del Governo e non si capisce bene perché. Anzi sì, perché le multinazionali non sono abituate a trovarsi Governi contro; piuttosto sono avvezze a relazionarsi con fantocci totalmente assoggettati alle loro volontà, in una stucchevole perpetuazione del mito delle Repubbliche delle banane. È normale che la Chevron trovi Correa estremamente insolente, al punto da tirare fuori cose che, a rigore potrebbero anche mettere in difficoltà la multinazionale stessa. Craig sostiene che in Chevron posseggano dei video registrati di riunioni tra Alexis Mera, il Segretario giuridico della Presidenza, gli avvocati Pablo Fajardo Julio Prieto, Aljendro Ponce Villacís e l’attivista Luiz Yanza, durante le quali i soggetti in questione cerchino una via d’uscita per dichiarare nullo l’accordo del 1998. Con quell’accordo, in sintesi, il Governo ecuadoriano sottoscriveva l’Atto finale che esonerava la Texaco da qualsiasi responsabilità in Ecuador, e poco dopo comunicava di uscire dalla causa, nonostante il programma di bonifica da 40 milioni di dollari avesse ricevuto pesanti condanne dovute al fatto che fu considerato scarso e totalmente insufficiente per ripristinare l’area soggetta alla contaminazione. Intanto nulla di male se un Governo si adopera per stracciare un accordo che poggia su falsità evidenti e porta la firma di un Presidente, Jamil Mahuad, neoliberista al punto da fare adottare il dollaro come moneta ufficiale del Paese. In secondo luogo, il fatto che i dibattiti intorno a questa necessità siano avvenuti in totale trasparenza, visto che le registrazioni sono servite al regista Joe Berlinger nel 2009 a montare un documentario contro la multinazionale intitolato Crude, the real price of oil, non dovrebbe spingere troppo la Chevron a cercare strane trame eversive ai suoi danni da parte del Governo. La multinazionale statunitense sta provandole tutte per tirarsi fuori da un pantano melmoso che già da tempo la vede soccombere. Prove documentali schiaccianti e danni evidenti sulla salute della popolazione e sulla salubrità del territorio costituiscono la cartina di tornasole di una pesante campagna di colonizzazione industriale che ha disseminato per decenni il territorio ecuadoriano di tubi spaccati e morte.

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