Elezioni in Islanda, chi ha vinto davvero?

I media di tutto il mondo hanno annunciato la vittoria del Partito dell'indipendenza - lo stesso che condusse il paese sull'orlo del fallimento - alle elezioni politiche del 27 aprile in Islanda. Possibile che i cittadini abbiano già dimenticato tutto?

Elezioni in Islanda, chi ha vinto davvero?
Con un libro sulle vicende islandesi appena terminato di scrivere, che verrà pubblicato a breve, seguo dall’Italia le elezioni politiche del 27 aprile in Islanda. Dapprincipio resto incredulo di fronte ai risultati. Vince il Pi, il Partito dell’indipendenza, la fazione politica che più di ogni altra è stata responsabile della crisi. Si tratta dello stesso Pi che fu a lungo guidato da David Oddsson, vero e proprio “dottor shock” islandese (per usare l’espressione coniata dalla giornalista canasdese Naomi Klein), iniziatore e principale fautore delle liberalizzazioni che a partire dai primi anni duemila tolsero ogni briglia al settore finanziario, causando la bolla finanziaria che spinse il paese sull’orlo del fallimento sul finire del 2008. Ed ecco che, almeno stando ai media internazionali, questo ottiene nuovamente la fiducia dei cittadini a neppure cinque anni dalla kreppa, il crack finanziario che segnò la fine dell’era Haarde-Oddsson. Sconcertato e in cerca di lumi inizio a mandare e-mail agli amici islandesi, che mi hanno ospitato ed informato durante il mio viaggio in Islanda. Possibile che ci si sia già scordati di tutto? Davvero è bastata una leggera brezza di benessere a cancellare ogni volontà di cambiamento? Mi rimbalzano in mente le parole di Solveig Jonsdottir, presidente di Attac Islanda, che davanti ad una birra nella piazza del parlamento a Reykjavik mi disse con aria sconsolata: “A volte penso che alla fine quello che la gente voleva veramente era tornare a come stava prima della crisi”. Scrivo a Birgitta Jonsdottir – nel frattempo divenuta leader del partito dei pirati -, a Hordur Torfason, il cantante e attivista che è stato fra i leader delle rivolte, a Salvor Gissuradottir, altra attivista di Attac, ad Einar Mar Gudmundsson, scrittore di fama internazionale e attivista. Mi rispondono in poche ore, e le loro parole non sono di delusione come mi aspettavo. Capisco di essermi fatto ingannare, almeno in parte, dai titoli dei giornali. “Il partito dell’indipendenza – mi scrive Salvor – non è il vincitore delle elezioni. Avrà aumentato, penso, di circa il 2 per cento i propri voti rispetto all’esito disastroso del 2009 ma non ha ritrovato la sua forza precedente; il suo leader Bjarni Benediktsson è molto impopolare e una faccia della corruzione agli occhi di molti islandesi”. Ma se è così, allora chi ha vinto veramente le elezioni? Do uno sguardo più accurato ai risultati e la situazione che emerge è in effetti un po’ diversa da quella dipinta dai media internazionali. Addirittura, piuttosto simile a quella italiana, pur con qualche differenza sostanziale. Sono state indubbiamente elezioni anomale. C’è stato un vistoso calo dell’affluenza, di circa il 4 per cento. Vi hanno preso parte ben 15 partiti - contro i 7 della tornata precedente -, parecchi per un paese di 300mila anime e poco più. Il Partito dell’indipendenza, indicato da tutti come il vincitore, ha ottenuto in realtà circa il 26 per cento dei voti con 19 seggi in parlamento. Solo 3 punti percentuali in più rispetto alla disfatta del 2009, ben lontano dal quasi 37 per cento del 2007. In compenso il Partito progressista, partito di centro storicamente alleato con il Pi, è balzato dal 9 al 24 per cento, forte di una campagna elettorale incentrata sugli aiuti alle famiglie afflitte dai debiti e dell’appoggio ai referendari sulla questione Icesave (il debito contratto dalle banche islandesi, che Inghilterra e Olanda volevano far ripagare ai contribuenti). È stato forse l’unico fra i partiti tradizionali ad ottenere un buon risultato, ed infatti è al suo leader, Sigmundur Davíd Gunnlaugsson, che il presidente Grimsson ha affidato l’incarico di formare un governo. Grande sconfitta la coalizione di governo, con i socialdemocratici e i verdi che hanno praticamente dimezzato i propri voti (dal 24 al 12 per cento i primi, dal 20 al 10 i secondi). Mentre alla restante manciata di piccoli partiti è andata una fetta consistente di voti (quasi un terzo dell’intero elettorato), che però ha consentito a soli due fra gli 11 schieramenti di superare quel 5 per cento necessario per entrare in parlamento: il partito dei Pirati e Futuro luminoso. "Significa – mi scrive Salvor – che un consistente gruppo di attivisti che ha provato ad entrare nel dibattito politico non ha rappresentanza in parlamento, i loro voiti sono voti persi. Ciò vuol dire che probabilmente ci saranno molte persone arrabbiate adesso, ansiose di cambiare la scena politica in Islanda". Insomma, le elezioni islandesi – un po’ come quelle italiane – hanno sancito una sconfitta piuttosto sonora per i partiti tradizionali (eccezion fatta per il Pp) e una vittoria dell’astensionismo e delle realtà nuove, estranee ai giochi di potere che hanno caratterizzato la storia recente dell’isola. Realtà che però non hanno saputo coalizzarsi in un’unica forza in grado di incanalare il malcontento o la voglia di cambiamento e sono rimaste frammentate, disperdendo una grossa percentuale di voti. La coalizione di governo uscente, orfana della leader Johanna Sigurdadottir ritiratasi dalle scene, ha pagato dazio per le sue posizioni pro Europa e pro euro, per la sudditanza al Fmi e per le posizioni troppo accondiscendenti verso Inghilterra e Olanda durante la disputa Icesave. Tematiche cui invece si è opposto con astuzia il Pp, risultando premiato alle urne. In definitiva le elezioni ci rendono il quadro di un’Islanda con poca fiducia nelle istituzioni, politicamente frammentata, ma con le idee piuttosto chiare su alcuni argomenti. Contraria all’euro e all’Europa, riconosciuta come vero fulcro delle politiche neoliberiste e di austerità. Favorevole ad un maggior sostegno verso le famiglie sommerse dai debiti. Un paese con tante idee e una rinnovata partecipazione, che non ha però saputo indirizzare il proprio fermento in un unico recipiente. Al momento in cui scrivo il governo islandese deve ancora essere formato. Per adesso l’esito che appare più probabile è un governo di coalizione fra Pp e Pi, che però a detta di molti non coglierebbe quella volontà di cambiamento emersa dalle elezioni. Tuttavia ancora nulla è certo. E Birgitta Jonsdottir mi mette in guardia: "Penso che molte persone rimarranno sorprese da come verrà formato il governo. Non esistono solamente due torri". LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI SULLA RIVOLUZIONE ISLANDESE PER APPROFONDIRE LEGGI IL LIBRO "ISLANDA CHIAMA ITALIA - STORIA DEL PAESE CHE RIFIUTO' IL DEBITO", EDIZIONI LUDICA

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è uscito il libro "Islanda chiama Italia - Storia del paese che rifiutò il debito" di Andrea Degl'Innocenti! http://shop.ludicaweb.com/products-page/viaggi/islanda-chiama-italia/
Redazione, 08-07-2013 12:08

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