Siccità, carestia, aumento dei prezzi e combattimenti stanno costringendo alla fuga migliaia di somali: campi profughi saturi in Kenya ed Etiopia. Richiesto l’intervento della comunità internazionale. Ci si interroga sulle implicazioni legate ai cambiamenti climatici.
Si sta consumando tra Somalia, Kenya, Etiopia ed Eritrea una delle più devastanti crisi alimentari degli ultimi tempi. La siccità che imperversa da ben due stagioni consecutive nel Corno d’Africa, la peggiore registrata negli ultimi 60 anni, ha già messo in ginocchio dieci milioni di persone. Una crisi umanitaria annunciata da mesi dalle Ong operanti sul posto e giunta oggi a livelli allarmanti.
La settimana scorsa l’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha richiesto ufficialmente finanziamenti per 136 milioni di dollari e ieri la Francia, in qualità di presidente di turno del G20 ha convocato una riunione straordinaria della Fao a Roma per il prossimo 25 luglio, al fine di lanciare uno speciale programma di aiuti per la Somalia, il paese più colpito. L’azione combinata della carestia e dello sproporzionato aumento dei prezzi dei generi di prima necessità ha infatti costretto alla fuga già decine di migliaia di somali.
A sommarsi è anche l'instabilità politica del paese, lacerato da ormai ventennali conflitti interni, ulteriormente aggravati dall’offensiva, lanciata lo scorso febbraio, dalle forze del governo federale di transizione contro i ribelli di Al-Shabaab. Secondo fonti MISNA, l'opposizione armata facente capo al gruppo degli Shebab starebbe impossibilitando l'accesso alle aree sottoposte al loro controllo, rendendo ancora più difficoltoso l'intervento delle organizzazioni umanitarie. La riduzione dei pascoli e delle fonti di approvvigionamento d’acqua sta inoltre innalzando il livello di scontro tra i clan delle regioni centrali e meridionali, le più colpite dalla siccità.
Si stima che oltre 750.000 somali hanno cercato rifugio nei paesi confinanti, soprattutto in Kenya, dove si contano circa 1400 nuovi rifugiati al giorno nei tre campi di Dagahaley, Ifo e Hagadera vicino alla città di Dadaab. Si tratta del più esteso complesso per rifugiati al mondo. Progettato nei primi anni ’90 per una capienza di circa 90.000 persone, è stato dichiarato ufficialmente saturo già nel 2008.
Oggi i rifugiati sono intorno a quota 380.000, ossia quattro volte di più, tanto che le autorità kenyane hanno annunciato recentemente l'apertura di un quarto campo. Per l’80% si tratta di donne e bambini, di questi uno su due è malnutrito. Stessa situazione nella tendopoli di Dolo Ado in Etiopia, nella regione di Ogaden, a pochi chilometri dal confine con la Somalia. Qui si sfiorano i 1700 arrivi giornalieri. “Senza una rapida ed energica risposta della comunità internazionale alla crisi nel Corno d’Africa provocata da esodi e siccità, l’impegno umanitario per assistere i rifugiati somali che continuano ad arrivare nel sud-est dell’Etiopia è a serio rischio”, ha dichiarato l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), Antonio Guterres.
Intanto il Continente sembra essersi diviso in due. Nelle ultime settimane piogge a carattere alluvionale hanno provocato in Nigeria già 25 vittime e decine di sfollati, oltre a numerosi danni a strade, infrastrutture e abitazioni. Ingenti danni anche in Costa d’Avorio, Benin, Togo e Namibia, dove sono a rischio i prossimi raccolti.
Ci si interroga dunque sulle possibili cause. In che misura le attuali condizioni possano essere attribuite ai cambiamenti climatici in atto nel pianeta non è ancora chiaro.
Secondo l’IPCC (Centro Scientifico Intergovernativo per il Cambiamento Climatico) questa straordinaria siccità sarebbe una diretta conseguenza dei cambiamenti climatici, che proprio in Africa manifesterebbero gli effetti più devastanti. Alcuni studiosi attribuiscono parte della responsabilità ad una fase particolarmente forte di La Niña, una corrente oceanica che si manifesta con andamento ciclico nel Pacifico equatoriale.
Unanime è invece il monito degli ambientalisti: è necessario attuare incisivi interventi per lo sviluppo di sistemi di controllo e di segnalazione che possano aiutare le autorità a prepararsi per tempo a simili eventi, divenuti ormai sempre più prevedibili.
Intanto le previsioni a breve termine non sono per nulla ottimistiche: la stagione delle piogge non arriverà prima di ottobre pertanto “un miglioramento entro il 2012 è molto improbabile” secondo gli esperti ONU.
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