Agricoltura, allevamento, industria e trasporti sono i principali responsabili dell'aumento delle emissioni di ossido di diazoto (N2O) che risultano, secondo uno studio dell'European Nitrogen Assessment (ENA) pubblicato su Nature, doppie rispetto alle stime del Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC). Oltre che contribuire per un terzo del totale all'effetto serra, i composti reattivi dell'azoto sono dannosi per la qualità delle acque, dell'aria e dei suoli e in generale per la difesa degli ecosistemi e della biodiversità.
Lo studio ENA, finanziato in parte dal progetto NitroEurope The nitrogen cycle and its influence on the European greenhouse gas balance - nell'ambito del Sesto programma quadro di ricerca e sviluppo dell'UE (6° PQ) - e presentato la scorsa settimana ad Edimburgo nel corso della conferenza internazionale Nitrogen and global change 2011, traccia un quadro molto chiaro del livello di incremento del diossido di azoto, delle sue cause e delle sue conseguenze.
Un quadro che, attraverso l'analisi dei dati, rende evidente ancora una volta che la nostra storia, per quanto sia sempre stata interpretata - e ancora si vorrebbe continuare a guardarla - attraverso la lente del progresso, della conquista tecnologica e dell'accrescimento delle potenzialità umane, non può più essere spacciata per una vicenda senza perdite.
Così si apre infatti la sintesi generale dei contenuti della ricerca: “Un secolo fa, quando il mondo dipendeva dall’azoto fossile e dal riciclaggio del letame, l’azoto reattivo era insufficiente per nutrire la crescente popolazione umana. Con l'invenzione del processo Haber-Bosch, l'uomo ha trovato un modo per rendere più economico l’azoto reattivo grazie alla fornitura quasi inesauribile di diazoto atmosferico. Ciò che gli esseri umani non si aspettavano era che il forte aumento dell'offerta di azoto reattivo, aggravata dalla combustione di combustibili fossili, avrebbe portato ad una rete di nuovi problemi ambientali che interessano tutte le sfide del cambiamento globale”.
La traduzione in numeri delle conclusioni dei ricercatori impegnati nel progetto mostra che, mediamente, il 4% dell'azoto reattivo atmosferico è convertito in N2O e riassorbito nell'atmosfera, con un effetto serra 300 volte superiore a quello dell'anidride carbonica (CO2).
Questa tendenza, in atto da oltre un secolo, si nutre dell'utilizzo sempre più diffuso di fertilizzanti nell'agricoltura, dell'ammoniaca e delle emissioni generate dai combustibili fossili e dalle biomasse, e sfocia in un aumento della concentrazione atmosferica di azoto reattivo dai terreni forestali pari a 1,5 milioni tonnellate per ciascun anno dal 1860 al 2000, costituendo una minaccia per le specie animali e vegetali, per l’aria, l'acqua, il suolo e la salute umana.
E le perdite sono anche economiche, come sempre del resto se si valuta l'impatto non visibile delle politiche di sviluppo in termini sociali e ambientali. Da un'analisi costi-benefici risulta infatti che il costo ambientale complessivo delle perdite di composti reattivi dell’azoto in Europa, da 70 a 320 miliardi di euro all'anno a prezzi correnti, supera i benefici economici ottenuti in agricoltura.
Nonostante gli sforzi fatti in molti anni per ridurne l’emissione nell'ambiente, la maggior parte degli obiettivi non sono stati raggiunti, almeno fino ad oggi, soprattutto – sostengono i ricercatori che hanno lavorato a questo studio – perché sono state formulate politiche frammentarie, differenziate in base ai composti e ai diversi settori di attività economica e non integrate tra loro.
La proposta è allora quella di fare delle cinque minacce legate all'ossido di diazoto il punto di partenza per una risposta olistica al problema, un pacchetto integrato articolato in 7 azioni chiave per la gestione globale del ciclo dell'azoto: tre azioni relative all'agricoltura, un'azione relativa ai trasporti e l'industria, una al trattamento delle acque reflue e due riferite ai modelli di consumo sociale.
Una strategia che, dicono i ricercatori, potrà produrre i primi risultati solo se, oltre a politiche complessive e armonizzate tra le diverse regioni, protocolli e accordi intergovernativi, si riuscirà a comunicare e ad ottenere il coinvolgimento attivo di tutti quegli operatori che dovranno effettivamente implementare le misure per la riduzione delle emissioni di N20. E tra questi non solo chi produce, ma anche chi consuma.