Secondo uno studio dell’associazione Re:Common, la compagnia elettrica italiana Enel Green Power, acquistando un nuovo impianto idroelettrico sul fiume Cotzal, in Guatemala, si è resa responsabile non solo della devastazione ambientale di quelle zone, ma anche di gravi violazioni dei diritti delle popolazioni indigene. Tanto da portare gli autori dello studio a chiedere al governo italiano di “imporre all’Enel una condotta diversa”.
In Guatemala, lungo il fiume Cotzal, dallo scorso marzo è entrato in funzione un impianto idroelettrico contro cui le proteste delle popolazioni indigene, mai consultate sulla costruzione dello stesso, hanno provocato un solo risultato: la militarizzazione della zona. Proprietaria della struttura è Enel Green Power, braccio 'verde' della casa madre che, per il 31%, resta nelle mani del Ministero dell’economia e delle finanze italiano.
A denunciare una situazione sempre più tesa è il rapporto Il caso di Palo Viejo in Guatemala. La diga della discordia nelle terre dei Maya, redatto dall’ associazione Re:Common in seguito ad una missione sul campo e grazie alla collaborazione di gruppi locali e di lotta per l’autodeterminazione dei popoli nativi come le Comunità Ixiles del Guatemala, il Consejo de Juventudes Maya ed autorità indigene come quelle di Cotzal, Nebaj, Chajul e Fundamaya.
L’associazione, impegnata da tempo contro la “finanziarizzazione delle risorse naturali e per una gestione democratica dei beni comuni”, denuncia le tensioni sociali e gli scempi ambientali legati alla costruzione dell’opera di proprietà italiana in terra guatemalteca. Il suo rapporto rileva innanzitutto che “nei territori indigeni esiste un clima di conflittualità sociale legato alle attività delle multinazionali”. Ma anche che la costruzione dell’impianto ha avuto un notevole impatto ambientale.
Progettata per produrre fino a 84 megawatt di elettricità, quest’opera è formata da tre piccole dighe che sfruttano la corrente del fiume Cotzal e dei suoi affluenti Chipal, Regadio ed Escondido. Ma anche di un serbatoio, un canale, un tunnel, diverse turbine ed edifici per gli impianti, nonché di diverse strade per accedervi. Per costruire tutto ciò, denuncia il rapporto Re:Common, gli operai sono stati fatti lavorare in condizioni 'primitive', in quanto costretti a trasportare a spalla e scalzi sacchi pesanti fino a 100 chili.
Oltre a questo, continua lo studio, se da una parte sono stati violati i diritti delle popolazioni locali e le consultazioni con le stesse sono state fittizie, le valutazioni di impatto ambientale presentano numerose lacune, fra cui la mancanza di prevenzione sui potenziali impatti sulla qualità dell’acqua, l’assenza di studi sui processi di sedimentazione del bacino e di impatto sulla biodiversità del luogo, e la mancanza di un’analisi costi-benefici nel lungo termine.
Sono state numerose le proteste condotte dalle comunità locali, che chiedono innanzitutto di interrompere ogni azione repressiva militare nei loro confronti, ma anche di potere beneficiare almeno in parte di una struttura che è comunque sotto la loro gestione (e che ha portato fra le altre cose all’apertura di una strada a pedaggio). Ma nonostante le promesse di Enel, condensate nell’avvio di un piano di cooperazione ventennale che prevede la costruzione di un centro di formazione tecnica, borse di studio per i giovani più meritevoli o la riforestazione di tre aree locali, il rapporto sostiene che al momento “il dialogo è in stallo, l’impianto in rete e il territorio militarizzato”.
“In America Latina anche altri progetti di Enel sono molto contestati a causa delle conseguenze ambientali e sociali particolarmente negative”, ricordano gli autori dello studio. E anche nel caso di Palo Viejo il “sistema Italia”, come viene definito nel rapporto, è entrato prontamente in azione. Dietro ogni operazione di un’impresa multinazionale all’estero, infatti, “c’è tutto il sistema Paese che si muove con le sue banche, le istituzioni finanziarie pubbliche, gli uffici di cooperazione, le rappresentanze diplomatiche e i funzionari italiani presenti nelle organizzazioni internazionali”.
“Il caso del progetto idroelettrico di Palo Viejo è emblematico del modello economico e sociale che multinazionali e governi continuano a imporre alle comunità locali, nonché della criminalizzazione di qualsiasi loro forma di dissenso”, conclude Re:Common: “Il governo italiano farebbe bene ad imporre all’Enel una condotta diversa, che passi innanzitutto per il riconoscimento delle autorità indigene, del loro diritto ad essere consultati in maniera previa e informata e di partecipare alle scelte che riguardano i loro territori”. Se non altro per le “molte ombre di questo progetto, che ormai è completato e comincerà a breve a generare utili anche per le casse del governo italiano”.