Ha fatto scalpore la dichiarazione del presidente francese Emmanuel Macron che di recente ha presentato il suo piano da 30 miliardi di euro finalizzato a rinnovare l’industria francese entro il 2030, includendo la realizzazione di piccoli reattori elettronucleari. Strategia che stride con quanto la maggior parte dei paesi europei sta facendo per la pianificazione e la produzione di energia. Per contrastare il cambiamento climatico le parole d’ordine devono essere efficienza e fonti rinnovabili. Non certamente il ricorso al nucleare di cui si ricomincia a parlare: come se non fossero bastati i disastri causati dagli incidenti di Fukushima nel 2011, Chernobyl nel 1986, Three Mile Island nel 1979 e tanti altri le cui conseguenze sono ancora visibili ai nostri occhi. Oltre al fatto che, incidenti a parte, ancora non si sa dove stoccare le scorie in modo permanente e sicuro.
Inconcepibile l’azione del Giappone, che dopo l’incidente di Fukushima chiuse tutte le sue centrali per poi, gradualmente, riattivarne altre per ricavarvi almeno il 20% dell’energia necessaria nei prossimi dieci anni. Purtroppo, manca quel coraggio necessario a cambiare realmente le cose e che ci farebbe veramente vivere meglio (mentre il coraggio di fare opere rischiose e poco redditizie si trova sempre…). Ma è difficile farlo capire a chi ci governa ed è necessario quindi inventarsi sempre nuovi strumenti di persuasione. Come se la paura di una prossima estinzione di massa non bastasse.
Si preferisce cercare nuove vie, devastando territori e popoli, al fine di evitare di far passare le infrastrutture necessarie attraverso paesi “problematici” come l’Ucraina e la Bielorussia. Facendo finta di non sapere che il tutto aumenta la dipendenza dell’Unione Europea dalla Russia, oltre a essere incoerente rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione che ci si è prefissati.
C’è bisogno di una nuova classe dirigente che superi questi ostacoli e che non abbia paura di proporre quelle soluzioni che appaiono banali ma che, visti gli interessi in gioco, faticano a trovare spazio. Noi cittadini possiamo fare la nostra parte. Ricordiamoci che siamo consumatori di energia e che possiamo decidere a chi pagare le bollette. Sempre che non ci sia un’alternativa che in molti stanno sperimentando e cioè ridurre al massimo la spesa energetica attraverso la massimizzazione dell’efficienza nelle nostre case o ambienti di lavoro. Di recente si è notato un proliferare di “offerte” non tanto per risparmiare energia, quanto per utilizzare quella prodotta da fonti rinnovabili. Dobbiamo prestare molta attenzione, soprattutto verso quelle proposte che arrivano da chi, fino a ieri, non si è mai interessato alla sostenibilità delle proprie attività. E, anche adesso, andando ad analizzare nel dettaglio, si capisce chiaramente che si tratta di puro marketing.
Quel 12% di fabbisogno di energia elettrica che acquistiamo da altri paesi come la Francia e la Svizzera (che la producono con il nucleare rispettivamente per circa il 75% e il 40%) di fatto ci rende parte in causa e quindi responsabili. Purtroppo, fino a che la logica sarà il costo del chilowattora non ne usciremo. Serve un salto di qualità, ove la stessa qualità e la vita umana vengano considerate prioritariamente.
Guardando la realtà siamo ben distanti da questa visione. Nel nuovo Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) sono indicati 23 miliardi di euro di investimenti entro il 2030, di cui 8,1 per il 2025. Con 3 miliardi di euro si renderà possibile trasportare il gas dal Nord Africa all’Europa. E la domanda che noi profani ci poniamo è sempre la stessa: ma siamo sicuri che non vi sia un altro modo? Prima di produrre in modo non sostenibile per poi cercare di risparmiare energia in alcuni usi finali, non sarebbe meglio mettere l’efficienza veramente al primo posto? Anzi, ancor prima, con una seria programmazione che veda come priorità la massimizzazione dell’efficienza, energetica e non solo. Non sarà facile, ma è l’unica strada da seguire. E viste anche le risorse in gioco, 60 miliardi di euro su 221 del Recovery Plan sono destinati alla transizione ecologica, credo sia un dovere sforzarsi al fine di presentare soluzioni veramente utili per noi e i nostri figli.
E, sempre con gli occhi ben aperti, ha fatto scalpore la presentazione del piano 2022-2024 di Enel che punta sull’elettrificazione con investimenti diretti pari a 170 miliardi di euro, anticipando di dieci anni il proprio impegno di emissioni nette pari a zero. Certamente non è compito di Enel, ma dei governi in cui opera fare in modo che le proprie azioni siano sostenibili nel contesto di una politica nazionale sostenibile. E sulla “sostenibilità” dichiarata da Enel è giusto fare molta attenzione. Chi scrive è fiducioso che qualcosa stia cambiando ma è ancora troppo presto per dare valutazioni positive. Fino ad ora i paesi, incluso i nostro, hanno fatto poco o nulla per distinguersi in questo settore ma, come si dice in queste occasioni, la speranza è l’ultima a morire.
Intanto si rileva, positivamente, la bocciatura dell’impianto di Eni di Ravenna per un deposito di CO2, per chi ancora avesse dei dubbi sull’inutilità, per non dire pericolosità, di un tale progetto. Da seguirne però con attenzione gli sviluppi perché nel frattempo il governo italiano avrebbe inserito un articolo nella legge di bilancio che consentirebbe al progetto di ottenere finanziamenti pubblici, cosa ovviamente da scongiurare.
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LETTURE UTILI
Dato che in futuro la situazione si aggraverà sempre di più, è necessario agire qui e ora, con le forze proprie e altrui disponibili a un reale cambiamento. Le coordinate per agire le potete trovare nel libro L’Italia verso le emissioni zer0, per invertire finalmente la rotta di un paese che ha tutte le possibilità e le condizioni per riuscire, volendolo.