di
Andrea Degl'Innocenti
09-04-2013
La scomparsa di Margaret Thatcher, primo ministro britannico per undici anni, è spunto per una riflessione sul mondo che le sue riforme hanno contribuito a creare. Un mondo schiavo dei mercati, privo di diritti e stato sociale, in cui tutto è in vendita, persino i beni comuni. Eppure, nell'ora del cordoglio, sono in pochi a ricordarlo.
“La società non esiste. Ci sono solo individui, uomini e donne, e ci sono famiglie”. Con questa frase sibillina pronunciata sul finire degli anni Ottanta Margaret Thatcher andava al cuore della questione. Spiegava al mondo quello che era stato il suo programma politico; lo stesso che di lì a breve, con poche eccezioni, sarebbe diventato il programma dell'intero pianeta. Meno stato più mercato, meno programmazione più competizione, meno garanzie più possibilità, meno collettività più l'individuo. In due parole “liberismo economico”, altrimenti detto neoliberismo o liberalismo.
Alla sua scomparsa, la “iron lady” – così la chiamavano – lascia una società stravolta e devastata dalle riforme che essa contribuì a introdurre. Le sue linee programmatiche trovavano origine negli studi condotti da un gruppo di ambiziosi economisti dell'Università di Chicago a partire dagli anni Cinquanta. I Chicago boys, così venivano chiamati, guidati dal guru e futuro premio Nobel per l'economia Milton Friedman, sognavano la scomparsa della società così come la conosciamo per ritornare ad uno stato più naturale, in cui le leggi del mercato (da essi elevate a leggi universali) avrebbero potuto regolare i bisogni dell'essere umano senza le odiose interferenze di altre inutili infrastrutture.
Nella retorica neoliberista l'intero sviluppo sociale dell'essere umano, che nel corso della storia ha stabilito una serie di norme condivise volte a garantire la serena convivenza, il rispetto reciproco, l'uguaglianza, sarebbe in realtà un progressivo distaccamento dalla legge naturale del mercato che avrebbe da sola provveduto a tutto questo. Ciò che bisogna fare è dunque divellere man mano tutti questi inutili paletti che l'uomo ha posto attorno a sé per ritornare ad uno stato il più possibile naturale. Persino i legami fra individui erano visti come elementi spuri e intrusivi. La comunità, la famiglia, i rapporti di l'amicizia divenivano improvvisamente nemici della società di mercato, per la quale tutto doveva essere regolato esclusivamente dal libero flusso di denaro.
Distruggere la società, cancellare il passato, questi gli obiettivi. A partire dagli anni Sessanta, come ben racconta Naomi Klein nel suo “Shock Economy”, la facoltà di economia dell'Università di Chicago divenne il maggior punto d'espansione dell'influenza politica ed economica degli Stati Uniti nel mondo. Convenzioni con università straniere iniziarono a portare alla corte di Friedman centinaia fra gli studenti più brillanti dei paesi vicini. I primi furono i cileni, che a partire dal 1957 si videro offrire l'opportunità di studiare a Chicago, spesati in parte da alcune fondazioni Statunitensi. Nel 1965 il progetto fu espanso al resto dell'America Latina.
Quando fecero ritorno ai propri paesi gli studenti così indottrinati divennero pedine fondamentali nelle dittature militari che di lì a poco, con la complicità degli Stati Uniti (intesi sia a livello di governo, che di servizi di intelligence, che di multinazionali e poteri economici) avrebbero ribaltato molti governi dell'America Latina.
In Cile los Chicago boys – così venivano chiamati i nuovi rampanti economisti cileni tornati dagli Stati Uniti – ebbero un ruolo determinante nella pianificazione del colpo di stato militare che uccise l'amato presidente marxista Salvador Allende e portò al potere il generale Augusto Pinochet. Lo stesso accadde per l'Argentina e per molti paesi dell'America latina.
L'America Latina fu solo la grande incubatrice dell'esperimento neoliberista. Dà lì, la controrivoluzione era pronta a spiccare il volo per altri lidi: il Nord America, l'Europa, l'Asia e l'Africa.
Fu proprio lei, la Thatcher, ad importare il modello in Europa. La prima, assieme al presidente americano Reagan, a riuscire ad imporre le impopolari riforme senza ricorrere ad un regime dittatoriale ma sfruttando piuttosto la leva del patriottismo ed il polso di ferro con gli avversari. Nei suoi undici anni da primo ministro inglese dichiarò guerra all’Argentina per via delle Falkland (1982), lasciò morire in carcere il membro dell’Ira Bobby Sands (a seguito di un prolungato sciopero della fame), distrusse le Unions, i sindacati inglesi, e soprattutto avviò un colossale piano di privatizzazione di tutte le attività economiche e dei servizi statali inglesi.
Oggi paghiamo il conto delle riforme della signora Thatcher, che di li a poco sarebbero state esportate nel resto dell’Europa. Lo strapotere dei mercati ed il progressivo deteriorarsi dello stato sociale sono figli di quella mentalità. Eppure nel giorno della sua scomparsa solo in pochi lo ricordano. Obama parla della scomparsa di una “vera amica” degli Usa; Bush di “Un grande alleato […] grande esempio di forza e carattere”. E il premier britannico David Cameron aggiunge “Salvò il nostro paese”.
Sono poche le voci fuori dal coro. Fra queste spicca quella del sindacalista britannico David Hopper, che con tono ironico e provocatorio afferma: "è un giorno meraviglioso, è il mio 70mo compleanno e sto bevendo un bicchiere proprio in questo istante".
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