di
Claudia Bruno
27-01-2011
Mi sono trovata più volte in questi giorni a dovermi giustificare per non aver parlato, denunciandoli apertamente, degli 'scandali di palazzo' che sono stati messi in agenda dai media nelle ultime settimane. Ho l'impressione di cadere in una trappola ogni volta che se ne parla. Di più se sei una donna.
Mi sono trovata più volte in questi giorni a dovermi giustificare per non aver parlato, denunciandoli apertamente, degli 'scandali di palazzo' che sono stati messi in agenda dai media nelle ultime settimane. Ho l'impressione di cadere in una trappola ogni volta che se ne parla. Di più se sei una donna.
La mia posizione continua ad essere quella di non dedicare spazio a tutta la vicenda su questo blog. Ma vorrei precisare che non sono sola. È una scelta politica alla quale capita di sentirsi rispondere da uomini e da donne che "la vera trappola è non parlarne, non indignarsi pubblicamente, non schierarsi e lasciare che 'loro' dipingano l'immagine che vogliono". Addirittura alcune testate hanno lanciato appelli e chiamate alle armi alle donne 'vere' (questo sabato ci sarà in piazza a Milano una manifestazione di protesta), degne del più urlato chi non salta neroazzurro è. Del resto, da un Paese che confonde continuamente partite di 'fantacalcio' con le urgenze politiche e sociali di milioni di cittadini non ci si potrebbe aspettare di meglio.
L’indignazione non basta più (è mai bastata?) è uno strumento che sta usando certa stampa da troppo tempo e che ci ha resi poco concreti e spesso ridicoli. Come ha detto una persona che stimo molto "l’indignazione è diventata lo sport dei culi pesanti". Persino Lorella Zanardo, attiva da due anni nella lotta alla distorsione dell’immaginario sui corpi in tv e nei media, in questa occasione ha preferito dire che "La lamentela è un'ottima scusa per i fancazzisti: migliaia di persone che brontolano e pochi che fanno".
Non solo. L’indignazione si è trasformata in un fattore di controllo della partecipazione politica dei cittadini e delle cittadine, oltre che in un motore per lo spostamento dei voti. Ci indigniamo quando ci chiedono di indignarci e per ciò rispetto a cui ci chiedono di indignarci, dopodiché deleghiamo la soluzione del problema. Forse è arrivato il momento di disobbedire e di decidere noi cos’è che ci fa saltare le coordinate.
Per chiudere. Esistono molti modi di prostituirsi, non capisco perché continuiamo a raccontarcene uno solo. Quando l'unica libertà riconosciuta diventa la 'libertà di mettere a profitto' il proprio corpo o la propria intelligenza per assicurarsi un guadagno a qualsiasi condizione (fisica, etica, politica, logica), allora tutto è concesso, non c’è valore aggiunto che tenga. Neanche quando ad essere venduto non è più il 'saper fare' ma l'essere e basta, il soggetto e la sua interezza, che per questo diventa scambiabile, sostituibile.
Credo che sia il più grande abuso che l’umanità abbia potuto fare del concetto di libertà. Ma a questo abuso assistiamo già da tempo a vari livelli nelle nostre esistenze. Ci hanno insegnato che dobbiamo essere disposti a tutto (e disponibili sempre) pur di 'meritarci' in cambio reddito e riconoscimento (da qui una precisa cultura del 'merito'), anche a non avere più una vita, degli ideali, degli affetti, delle pratiche, del tempo per noi e per i nostri valori e sogni. In pratica, sopravvivere al modello della 'crescita' (economica, di carriera, di bisogni, di consumi) è diventato più importante che restare dei soggetti. A pagare il prezzo più alto probabilmente è ancora una volta la libertà delle donne, che viene confusa, mistificata, deturpata, distorta. Quello che ora i riflettori hanno deciso di rendere visibile non è che il punto d’arrivo di una storia iniziata molto prima e altrove e che davvero solo in minima parte ha a che fare con "il mestiere più antico del mondo".
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