di
Francesco Bevilacqua
14-06-2012
Il fallimento del gruppo Plenty Market, importante realtà distributiva emiliano romagnola, è allo stesso tempo un sintomo di un importante mutamento delle abitudini di consumo e un'opportunità per l’affermazione di nuove soluzioni, lontane dalla logica della GDO.
È in atto una piccola rivoluzione nel mondo della grande distribuzione emiliano romagnola, in particolare nel settore dei superette, i piccoli supermercati di vicinato con metrature e dimensioni inferiori rispetto a quelle dei grandi centri. Protagonista, suo malgrado, la catena Plenty Market, fondata dall’imprenditore bolognese Dall’Olio, che fino a pochi mesi fa poteva contare su diciannove punti vendita, dislocati fra le province di Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena e Ravenna e suddivisi fra le insegne Plenty Market, Plenty Market Express, Plenty Discount ed Ecu Discount.
L’idea di Dall’Olio inizialmente sembrava vincente: muovere guerra alla struttura della grande distribuzione nella 'terra delle cooperative', attribuendo connotati quasi ideologici a una battaglia puramente commerciale. Nei primi anni di attività l’iniziativa aveva preso piede e nel 2009 l’imprenditore bolognese dichiarava un fatturato di circa 60 milioni di euro. Poi il declino: in alcuni punti vendita scaffali sempre più vuoti, rifornimenti interrotti, dipendenti incerti e dubbiosi e un’ombra sul futuro delle singole strutture, anche se da parte della proprietà non arrivava nessun segnale in merito.
Dal 2011 la situazione comincia a chiarirsi e si profila un 'salvataggio' da parte di marchi concorrenti, in particolare Pam, che in primavera si trova a un passo dall’acquisizione dei punti vendita bolognesi. Improvvisamente però l’affare salta e in estate subentra Coop Adriatica, che completa rapidamente l’acquisto di otto Plenty Market, che vengono subito trasformati in InCoop e i cui circa 60 dipendenti vengono reintegrati sotto la nuova insegna.
Nonostante l’alleggerimento di una parte di zavorra però, la situazione economica del gruppo non riprende quota. Approfittando dell’ondata di liberalizzazioni, i Plenty si giocano la carta dell’apertura domenicale, che è però insufficiente. Come sottolinea anche il sindacato Filcams-Cgil, che assiste i lavoratori del gruppo Plenty Market, molte di queste fasi si sono svolte in una situazione di scarsa trasparenza, la comunicazione fra proprietà e dipendenti non è stata sempre puntuale e diverse decisioni sono giunte in maniera improvvisa e inaspettata.
Il lento processo di declino è quindi giunto alla sua fase attuale, non prima però di un ultimo “colpo di scena”: la società milanese Korion, specializzata in acquisizioni di aziende sull’orlo del fallimento – una delle sue più importanti operazioni è stata l’acquisto e il rilancio della Lazzaroni, della famiglia Citterio –, stava perfezionando il passaggio di consegne con l’Albrea, la società della famiglia Dall’Olio. La soluzione avrebbe garantito una significativa dose di tranquillità e certezza dal punto di vista occupazionale per i circa 180 dipendenti Plenty a rischio di esubero.
Come riferiscono i rappresentanti sindacali però, la vicenda si è chiusa senza comunicazioni da parte della proprietà e si è avviata verso il preoccupante epilogo, ovvero il fallimento definitivo seguito da asta competitiva, soluzione che non fornisce alcuna garanzia sul futuro dei lavoratori. Appresa la notizia, questi ultimi si sono mobilitati per chiedere spiegazioni ai proprietari, che sono però chiusi in silenzio stampa sin da gennaio. Come sottolinea anche Ascom, l’intera vicenda è stata affrontata in maniera eccessivamente frettolosa, considerato anche il fatto che diversi operatori del settore distribuzione, fra cui Carrefour, sembravano interessati a subentrare ad Albrea.
Ma quali possono essere le cause di tutto ciò? Naturalmente la fase di profonda recessione che stiamo attraversando ha provocato una sensibile contrazione dei consumi; essa ha colpito trasversalmente tutto il mondo della distribuzione, anche se va anche rilevato che il target a cui si rivolgevano i Plenty Market – medio-alto, per lo più residenti dei centri cittadini, disponibili all’acquisto di prodotti con fasce di prezzo al di sopra della media – ha subito un contraccolpo sensibile e si è trovato costretto a rivedere il proprio budget in favore di soluzioni più economiche.
A questo va aggiunta l’agguerrita concorrenza rappresentata principalmente da Coop, attraverso i punti InCoop, ma anche dai numerosi minimarket che stanno fiorendo in maniera massiccia e spesso incontrollata un po’ in tutta Italia, in particolare in Emilia Romagna. Soprattutto in determinati contesti socioeconomici, gli antagonisti dei Plenty hanno trovato un terreno più fertile, nel quale hanno saputo meglio inserirsi – un esempio in proposito sono gli studenti universitari, molto numerosi a Bologna e Ferrara e certamente più inclini a rivolgersi a soluzioni più a buon mercato che ai Plenty Market.
Un pensiero va infine doverosamente rivolto alle decine di dipendenti che, pur avendo senza dubbio intuito da tempo la grave situazione in cui versava il gruppo, sono stati improvvisamente liquidati dall’opzione che, fra le papabili, era quella che offriva meno garanzie, ovvero l’asta competitiva.
Da ultimo, questa vicenda potrebbe fornire lo spunto per una piccola riflessione in merito allo stile di consumo nei centri storici, gli unici spazi urbani ancora non lottizzati dalla grande distribuzione, eccezion fatta per le loro ramificazioni rappresentate dai superette – gli InCoop della Coop, i Margherita della Conad, i Simply Market di Auchan e così via. Una delle cause che questo sintomo rivela è il complessivo ridimensionamento dei consumi.
Questo fatto non presuppone però necessariamente un riorientamento delle preferenze verso marchi di distribuzione più economici, ma può anche rappresentare l’opportunità di costruire, ripartendo proprio dal centro città, un nuovo stile di consumo. Un incoraggiante segnale in questo senso è rappresentato dal riscontro molto positivo che, proprio a Bologna, sta avendo il Mercato della Terra, farmer market che si tiene nel capoluogo emiliano due volte alla settimana e che sta attirando trasversalmente svariate tipologie di acquirenti, proponendosi fra l’altro non solo come punto d’acquisto ma anche come luogo di incontro, cultura e socializzazione.