di
Andrea Degl'Innocenti
12-04-2012
Presentate le nuove norme che dovrebbero riformare il sistema di finanziamento ai partiti. Più trasparenza nei bilanci e pene più severe per chi non è in regola sono i punti principali, ma ancora una volta si evita di arrivare al nocciolo del problema, che consiste proprio nei privilegi e nell'eccessivo utilizzo di risorse pubbliche da parte della classe politica.
Da una lunga riunione fra i tecnici dei tre partiti di maggioranza che sostengono il governo (Pd, Pdl, Udc) sono infine uscite le norme che dovrebbero riformare il metodo di finanziamento pubblico ai partiti politici, garantendo più trasparenza nella gestione e prevedendo pene più severe per i trasgressori.
Niente da fare per coloro - tanti - che speravano che le nuove norme prevedessero perlomeno una ridiscussione del sistema stesso di finanziamento; magari l'annullamento di norme incomprensibili come quella che garantisce ai parlamentari i rimborsi per tutti e cinque gli anni della legislatura anche nel caso in cui questa duri pochi mesi; sicuramente una riduzione di quella pioggia di denaro che foraggia le casse dei partiti alimentando inevitabilmente meccanismi di corruzione.
Niente di tutto ciò. Le direttive si limitano a regolare l'aspetto gestionale e si articolano su una serie di punti, molti dei quali incentrati sulla questione del bilancio. Innanzitutto i bilanci dei partiti dovranno essere sottoposti, per legge, al controllo e alla certificazione di società di revisione iscritte nell’albo speciale Consob.
Si istituisce inoltre una Commissione per la trasparenza ed il controllo dei bilanci dei partiti politici, presieduta dal presidente della Corte dei Conti e composta dal presidente del Consiglio di Stato e dal primo presidente della Corte di cassazione o da loro delegati. La Commissione sarà incaricata di effettuare il controllo dei rendiconti, delle relazioni e delle note integrative dei bilanci che i singoli partiti dovranno depositare entro il 15 luglio di ogni anno.
La commissione trasmetterà ai presidenti della Camera e del Senato, entro il 30 settembre di ogni anno, una relazione sull’esito dei controlli. Nel caso in cui emergessero irregolarità, sono previste multe. In quel caso i presidenti di Camera e Senato dovranno applicare “sanzioni amministrative pecuniarie pari a tre volte la misura delle irregolarità stesse”.
Una volta approvati, i bilanci verranno pubblicati sui siti internet di ciascun partito, oltre che su una apposita sezione del sito ufficiale della Camera. Anche i partiti che non percepiscono più rimborsi elettorali saranno comunque soggetti all’obbligo di rendicontazione di cui alla legge 2/1997 fino al loro scioglimento.
Sul fronte investimenti, per evitare che i soldi escano dal paese e finiscano in altri circuiti economici – si pensi ai soldi della Lega investiti in Tanzania e Cipro -, si prevede che i partiti possano investire la propria liquidità esclusivamente in titoli di Stato italiani.
Infine, dovranno essere rese pubbliche le donazioni ai partiti politici superiori a 5mila euro, mentre nel caso in cui siano i partiti a versare contributi – superiori a 50mila euro annui - a fondazioni, enti e istituzioni o società, è previsto l’obbligo per questi ultimi di sottoporsi ai controlli della Commissione.
Queste le novità. È innegabile che si tratta di provvedimenti necessari, ma è altrettanto vero che essi trattano solo un aspetto – quello della trasparenza dei conti – di una questione che andrebbe affrontata in maniera ben più complessa e, per certi versi, radicale. Il discredito in cui è caduta la politica non si risolve certo istituendo l'ennesima commissione (la quale peraltro non prevede alcun controllo pubblico).
Sarebbe necessario un cambiamento repentino, che dimostri la volontà della politica di liberarsi dalle sue stesse catene, da quel “viluppo di corruzione e privilegi, di uso privato di risorse pubbliche e di spudorata impunità [...] sempre più stringente, che soffoca una democrazia in affanno e ne aggrava una crisi già drammatica”, nelle parole di Stefano Rodotà su Repubblica. Ma non sembra che questo sia nell'agenda dei nostri politici, non per il momento.
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