Proviamo a immaginare uno scenario in cui il costo di ogni ulteriore produzione sia, al netto dei costi fissi, praticamente pari a zero. Impossibile, dite voi? Invece secondo Jeremy Rifkin – che nei giorni scorsi a Milano, Mantova e Trento ha presentato il suo nuovo libro, La società a costo marginale zero - tutto questo è già realtà. Crescono infatti i prosumers - consumatori che diventano produttori in proprio - che generano e condividono informazioni, contenuti d’intrattenimento, energia verde e oggetti fabbricati con stampanti 3D, il tutto ad un costo marginale quasi zero. Ma cosa significa realmente?
Una società caratterizzata da costi marginali prossimi allo zero rappresenta il contesto a massima efficienza in cui promuovere il benessere generale e, nel contempo, il punto di flesso che segna l’inevitabile uscita del capitalismo dalla scena mondiale. Infatti quando i beni e i servizi diventano quasi gratuiti, il profitto precipita, il mercato si atrofizza e il sistema capitalistico muore. A cominciare dal suo elemento fondante: la proprietà.
Usando le parole del filosofo William James, la proprietà è diventata il sistema di misurazione dell’essere umano e un’estensione della personalità, così che il confine tra ciò che una persona chiama “me stesso” e ciò che chiama semplicemente “mio” è difficile da tracciare. La nostra reputazione, i nostri figli, l’opera delle nostre mani, possono esserci cari quanto il nostro corpo. Nel suo senso più ampio, il sé di un uomo è la somma totale di tutto quello che egli può chiamare suo: non soltanto il suo corpo quindi, ma anche i suoi indumenti e la sua casa. Se crescono e prosperano, si sente trionfante, se deperiscono e diminuiscono, si sente abbattuto.
Oggi, però, un numero crescente di persone inizia a percepire la proprietà come un limite, un qualcosa di obsoleto e fuori moda, oltre che, in molti casi, anche poco conveniente. In Italia lo dimostra una ricerca condotta da Ipsos e commissionata da Airbnb e BlaBlaCar: il 31% degli intervistati si dimostra interessato ad utilizzare i servizi collaborativi, l’11% si dichiara già utilizzatore e solo il 27% si è dimostrato negativamente orientato verso il fenomeno. Il 57% degli intervistati prevede inoltre una forte diffusione del ride sharing, il 47% ritiene che l’house sharing crescerà nel prossimo futuro, mentre i settori che sembrano avere maggiori potenzialità sono il co-working e il car sharing, citati rispettivamente dal 61% e dal 53% degli intervistati. Emerge dunque che il mondo non è più di chi possiede, ma di chi condivide: mentre in passato la libertà era concepita in termini negativi, come diritto di escludere gli altri dal godimento di qualcosa conquistato col sudore della fronte (logica meritocratica), oggi la libertà è intesa come diritto all’inclusione e misurata in termini di accesso (logica collaborativa e solidale).
Il punto di svolta è ormai vicino, secondo le previsioni di Rifkin: stando alla sua ricostruzione, entro il 2050 il mercato capitalistico si ritrarrà in nicchie sempre più ristrette, mentre si affermerà sulla scena mondiale un nuovo sistema economico, quello del Commons collaborativo. Nel nuovo scenario la gestione e il controllo centralizzato del commercio cedono il passo alla produzione paritaria, distribuita e a scala laterale, segnando quindi la fine delle bipartizioni “proprietari e lavoratori”, “venditori e consumatori”. Arroccarsi in una Seconda rivoluzione industriale ormai al tramonto, con opportunità economiche sempre più modeste, un Pil sempre più contratto, una produttività sempre più in calo, un tasso di disoccupazione sempre più alto e un ambiente sempre più inquinato, è quindi improponibile, secondo Rifkin.
Dal volume emerge che occorre favorire la convergenza dell’Internet delle comunicazioni, dell’energia e della logistica. Ad esempio, afferma Rifkin, «Occorre cambiare la piattaforma energetica perché costa sempre di più e porta al cambiamento climatico. Non capisco cosa stia aspettando l'Italia: si parla di attualità, riforme, ed è necessario farle ma non è sufficiente. L'Italia deve cambiare il proprio modello energetico. Non può restare nel XX secolo, ancora con carburanti fossili e con il nucleare perché così rimarrà un passo indietro».
Questa trasformazione deve poi essere accompagnata da un cambiamento culturale, quello che Rifkin chiama “sviluppo di una coscienza biosferica”, ovvero quella coscienza che porta a riconoscere che le vite degli individui sono intimamente interconnesse, che il benessere personale dipende dal benessere della più ampia comunità nella quale si vive e che, ancora, tutto ciò che si fa lascia un’impronta ecologica. Rifkin racconta una rivoluzione che sa di Decrescita, fatta di semplicità, ragione e rispetto: per costruire una società della decrescita bisogna cambiare radicalmente il sistema economico, attraverso una ri-localizzazione della produzione, una forte diminuzione dei movimenti di merci e capitali e un aumento del periodo di vita dei prodotti per diminuire la massa dei rifiuti, secondo la logica della condivisione.
Maurizio Pallante, Fondatore del Movimento della Decrescita Felice in Italia, suggeriva proprio qualche settimana fa l’ennesima piattaforma collaborativa (CoseInutili.it), chiedendosi nel contempo come sia possibile decrescere in un Paese in cui è così difficile fare autoproduzione. Rifkin fornisce una risposta più che ottimistica, ora tocca al governo ma anche a tutti i singoli che vogliono muoversi in questa direzione.
“Cambierà tutto come è avvenuto con motore a vapore, telegrafo e ferrovia durante la Prima Rivoluzione ed elettricità, telefono e petrolio durante la Seconda. Possiamo accettarlo e agire di conseguenza oppure rimanere spettatori del cambiamento altrui”
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