Pezzetti di nuvole, cieli al tramonto, spiagge deserte. Quando scattiamo fotografie in giro per il mondo forse il ricordo che vogliamo conservare è in fondo quello di noi stessi, in quell'anno, mese, ora del giorno.
Qualche anno fa, sul battello che navigava intorno a Manhattan, passando di fronte a Liberty Island, ci aggiravamo, esposti al vento e al freddo della baia, per immortalare la Statua della Libertà. Decine, centinaia, migliaia di fotografie che, per la maggior parte di noi, non sarebbero state molto differenti: avremmo realizzato un’inquadratura più larga o più stretta, messo a fuoco più o meno efficacemente un dettaglio, ricavato la sua sagoma perfetta da un controluce del tutto casuale.
C’era la fila, però, aspettando di arrivare proprio sotto quel gigante. Tutti volevamo cogliere l’immagine al momento giusto, prima di allontanarcene di nuovo troppo, prima che non apparisse più la stessa. Migliaia di foto identiche, scattate come fossero un esemplare unico. Quello che mi colpiva è che solo alcuni ci tenevano a farsi fotografare con la statua alle spalle, ad entrare anche loro nell’angolo in basso a sinistra. Gli altri, più numerosi, si accontentavano di fotografare il monumento.
Qualche anno fa mi sembrava inutile quel gesto, e pensavo che sarebbe bastato comprare una cartolina, che sarebbe stato meglio piuttosto sapere qualcosa su quell’imponente simbolo d’accoglienza. Che sarebbe stato meglio se tanti italiani a bordo si fossero poi ricordati che la base del colosso era fatta di un marmo granitico proveniente dalla nostra sarda Maddalena; se tante donne al fianco dei propri nuovi o stagionati mariti avessero saputo che era di una poetessa il sonetto inciso sul piedistallo. Adesso continuo a pensarla nello stesso modo, ma c’era qualcosa che non capivo, allora.
Il ricordo che ognuno di quei turisti produceva era il ricordo di se stesso, non della statua. C’era lui in quella fotografia, anche senza starci dentro. E forse è questo che facciamo quando andiamo in giro per il mondo impressionando schede di memoria con le nostre mediocri o incredibili - almeno per noi - immagini: riportarci a casa. Siamo noi quei pezzetti di nuvole, cieli al tramonto, foglie di fiori, grattacieli specchiati, spiagge deserte e insegne lampeggianti di teatri.
Siamo sempre noi, che ci incontriamo nel volto di un bambino messicano, che ci andiamo a riconoscere in un altro posto, da un altro lato a cui sentivamo di appartenere, che non ci aspettavamo così bello e così diverso. Prima di disfarci, di sparire, di crollare: è di noi che vogliamo ricordarci, in quell’anno, mese, ora del giorno. Anche se tutto sembra sempre lo stesso, meraviglioso e precario, da qualunque parte dell’obiettivo ci troviamo.