di
Andrea Degl'Innocenti
04-10-2011
Il crollo della palazzina a Barletta; le frane che sempre più frequenti si verificano sul nostro territorio: segnali solo apparentemente sconnessi. In Italia c'è un problema di cemento che va dall'abusivismo selvaggio alla speculazione ambientale e alla sottovalutazione del rischio idrogeologico. Una questione che va affrontata nella sua complessità, prescindendo dalle emergenze dettate dai singoli casi.
Il cemento in Italia uccide. In vari modi. Uccide la campagna, ricoprendola di interminabili lingue d'asfalto, soffocando campi agricoli che assorbivano l'acqua piovana e, arricchendola di sali e nutrimento, la trasformavano in frutti prelibati. Così la terra frana e le campagne si trasformano nelle ennesime periferie, ad opera di palazzinari e speculatori. Uccide la legalità, perché chi costruisce lo fa spesso in maniera abusiva, in barba a norme di sicurezza e criteri di sostenibilità e impatto ambientale. Infine uccide e basta, perché i palazzi costruiti male, a volte crollano.
Come nella tragedia – annunciata – di Barletta di pochi giorni fa, dove il crollo di una palazzina ha causato la morte di cinque persone, tutte donne, fra cui una ragazzina. “La terribile strage di Barletta – ha dichiarato Edoardo Zachini, responsabile Urbanistica di Legambiente – è il segnale inequivocabile che il nostro patrimonio edilizio, in gran parte risalente agli anni '50 e '60, ha bisogno di controlli e regole certe e non di deregulation e fai da te”.
Servono controlli, ma è anche necessario riuscire a tenere assieme le problematiche. Ed oggi in Italia c'è un problema di cemento che va affrontato nel suo complesso. Fa quasi sorridere il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, quando di fronte ai dati preoccupanti sulle frane in Italia esposte dal Word Landslides Forum, ha provato a rassicurare i presenti affermando che “l'impegno del nostro paese è forte” e “c'è una stretta connessione tra la prevenzione delle calamità naturali, le nuove tecnologie e l'innovazione industriale”.
Letta affida ad una vaga idea di “sviluppo tecnologico” il compito fondamentale di salvarci dal pericolo delle frane, agendo sulle singole emergenze ma senza lanciare neppure uno sguardo sulle cause che le provocano.
La verità è che se l'Italia sta franando – e sta franando – non è per via di una sfortunata serie di coincidenze. Per capire l'entità del fenomeno di cui stiamo parlando, basti pensare – sono tutti dati ufficiali esposti dal Word Landslides Forum – che sulle circa 712 mila frane censite nell'Unione europea, 486 mila interessano il nostro territorio.
Ad essere a rischio è circa il 7 per cento del territorio, ben 20mila 700 chilometri quadrati, con Liguria, Campania, Lombardia, Toscana, Sicilia e Calabria fra le regioni più colpite. Nel solo 2010 si sono verificati ben 88 eventi franosi principali, con un bilancio piuttosto pesante: 17 vittime, 44 feriti e ben 4.431 persone evacuate.
Le radici di questo problema? In parte - in buona parte - proprio il cemento. E non solo per l'abusivismo cieco di fronte al rischio idrogeologico e sismico che caratterizza il territorio. “L’Italia frana - spiega la Coldiretti in un comunicato - anche perché il 25 per cento delle campagne negli ultimi 40 anni sono state abbandonate o coperte dal cemento”. Si è così ridotta drasticamente la superficie di assorbimento delle acque piovane, che scivolano veloci sull'asfalto e vanno a confluire in quei pochi lembi di terra ancora scoperti. Che, sovraccaricati franano. Se a questo si aggiunge l'aumento delle piogge causato dai cambiamenti climatici, si ottiene un cocktail esplosivo.