di
Marilù Ardillo
12-07-2011
La contaminazione nucleare dovuta al disastro di Fukushima segna la fine della cultura del tè verde giapponese? Difficile sostenere che sia così, soprattutto se a farlo devono essere produttori, importatori e cultori della preziosa bevanda. Riceviamo e pubblichiamo la risposta di Marilù Ardillo, selezionatrice e importatrice diretta di tè in foglia, ad un articolo pubblicato su La Repubblica il 20 giugno scorso. Un modo per aprire il dibattito su un tema per molti versi 'spinoso'.
Il 20 giugno 2011 è stato pubblicato sul noto quotidiano La Repubblica un articolo redatto dalla giornalista Renata Pisu in merito al tè verde giapponese e a ciò che è accaduto a Fukushima. Devo a Paola Ghirotti l’opportunità di esserne venuta a conoscenza.
È un articolo che ho riletto più volte, che ho stampato, osservato con estrema attenzione e su cui ho riflettuto a lungo. Ne trovate il testo integrale qui.
Prima di condividerlo con voi oggi, ho ritenuto di volerlo condividere con numerose Associazioni che promuovono scambi culturali tra Giappone e Italia (Istituto Giapponese di cultura, Fuji, Sakura, Iroha, Lailac, Aretè, Nipponica, Fondazione Italia-Giappone, Istituto italiano di cultura a Tokyo, Comitato per Ishinomaki), con l’Ambasciata italiana a Tokyo, con l’ente semi-governativo JETRO, con la community italiana Tea Time che si definisce il primo sito italiano dedicato al mondo del tè, con le scuole che organizzano cerimonie del tè giapponese in Italia, con l’Associazione Italiana Cultura del tè, con alcuni blogger italiani che vivono in Giappone, con produttori e distributori giapponesi di tè e con colleghi importatori che gestiscono boutique specializzate nella vendita di tè in foglia in vari luoghi d’Italia.
Ciascuna di queste persone ha investito tempo ed energie in termini sia pratici che emotivi, al fine di promuovere e diffondere la cultura del tè in Italia, ognuno con i propri mezzi; la Sig.ra Pisu ha citato “la perdita di identità e cultura“, ha affermato che le “esportazioni del tè sono ferme“, che “ora non si berrà più tè in Giappone“, che “il tè rischia la messa al bando totale“, che si stanno compiendo “cerimonie dell’addio”. Ebbene le testimonianze di tutti coloro che hanno ritenuto di rispondere alla mia sollecitazione e che per questo ringrazio (le ho raccolte in questo documento in continuo aggiornamento) si sono rivelate preziose al fine di confutare ognuna delle asserzioni della giornalista, che scoprirete prive di ogni fondamento.
Vi invito a leggere l’intero documento perché tutte le testimonianze esprimono punti di vista interessanti e degni di nota, possono aiutarvi a comprendere meglio come funzionano alcuni meccanismi che ruotano intorno al mondo del tè (le testimonianze dei produttori giapponesi sono state naturalmente tradotte dall’inglese).
Sono ferita e profondamente irritata da quanto scritto dalla Sig.ra Pisu, ritengo sia stato commesso uno sbaglio grave, grossolano, di imperdonabile superficialità. Se commettessi l’errore di mostrarmi indifferente, rischierei di confondere, spaventare e probabilmente allontanare tutti coloro per la cui fiducia e per il cui interesse ho lavorato fino ad oggi.
Ci sono diverse parole chiave a proposito delle quali desidero esprimere un’opinione, perché ritengo possano essere motivo di confusione, di tendenziosità. Insinuare dubbi, incutere paura, senza per altro citare alcuna fonte direttamente verificabile, trovo sia un atto di rara vigliaccheria, di chiara scorrettezza.
Fare informazione richiede un’assunzione di responsabilità non trascurabile, perché avere la possibilità di arrivare nelle case di centinaia di migliaia di persone significa potenzialmente condizionare i loro pensieri e le loro azioni, che a loro volta potenzialmente influenzano pensieri e azioni di altre persone ancora, fino ad arrivare a caratterizzare il Paese, a definirne il costume, lo spessore, la sensibilità.
Il termine “avvelenata” significa letteralmente “uccisa dal veleno, velenosa”, ossia una sostanza che causa gravissimi danni, perfino la morte (cit. dal Dizionario della lingua italiana). Associarla al tè, per altro all’interno del titolo dell’articolo, trovo sia scorretto, ingiusto. È la prima informazione falsa a cui seguono decine di altre informazioni false, inanellate senza alcun criterio, né cognizione di causa.
Ad oggi non è stato registrato alcun caso in nessuna zona del Giappone che abbia mai certificato gravissimi danni o la morte di persone che abbiano ingerito tè verde dopo l’accaduto dell’11 marzo.
Parole come “crollare“, “psicosi“, “perdita di identità“, “fine“, “addio“, “danno“, “messa al bando” non registrano una notizia, non informano in merito ad un evento, bensì alludono, giudicano, insinuano, sentenziano. Non posso pensare che una professionista della parola non conosca i significati di questi termini; posso solo pensare che abbia scelto di utilizzarli coscientemente.
Sulle ragioni per cui lo abbia fatto preferirei sorvolare.
È inesatto affermare che le esportazioni sono ferme, che anche in Europa non si berrà più tè, perché come dimostrano anche le testimonianze di importatori ed esportatori contenute nel documento che ho redatto, il tè continua ad essere commercializzato e bevuto regolarmente, in Giappone e in Italia, dai grossi distributori ai piccoli negozi, dalle case private ai luoghi di aggregazione.
Ci sono naturalmente delle condizioni più rigide a cui il tè è sottoposto rispetto al passato, perché possa arrivare nelle nostre tazze. Prima tra tutte, è necessario che ottenga il nullaosta sanitario dal nostro Ministero della salute e che rispetti il regolamento di esecuzione (UE) N. 351/2011 della Commissione del 23 maggio 2011 (che modifica il regolamento N. 297/2011 datato l’11 aprile) che impone condizioni speciali per l’importazione di alimenti originari del Giappone o da esso provenienti, a seguito dell’incidente alla centrale nucleare di Fukushima (qui trovate il testo integrale del regolamento).
Per ottenere il nullaosta sanitario, al momento dell’ingresso nel territorio nazionale (nei porti, aeroporti e dogane interne), tutte le partite di merci di interesse sanitario, compresi quindi gli alimenti di origine non animale destinati al consumo umano, provenienti da Paesi extra-europei, devono essere sottoposte ad un controllo igienico-sanitario a cura dell’Ufficio di sanità marittima e aerea (USMAF) competente territorialmente.
Direttamente sulla merce quindi, il personale tecnico dell’USMAF, presa visione della documentazione d’origine che deve necessariamente accompagnare ogni importazione, effettua controlli sanitari (documentali, ispettivi e/o analitici) utili ad evitare che prodotti contaminati, adulterati, tossici o comunque non rispondenti alle normative sanitarie vigenti, possano essere commercializzati in Italia e negli altri Paesi dell’Unione Europea. Al termine di tali controlli, l’USMAF, verificata la non pericolosità della merce, rilascerà il Nulla Osta all’importazione, documento che ne permetterà l’introduzione nel territorio comunitario.
E a conferma di quanto scritto, vi allego l'immagine che mostra la tracciabilità del pacco contenente i tè giapponesi che sto attendendo da Uji (Kyoto) a mezzo di corriere espresso EMS. A differenza delle spedizioni precedenti l’11 marzo, adesso è comparsa la nuova dicitura: “Awaiting presentation to customs commissioner” (trad. “In attesa di essere presentato al commissario di dogana”).
Sarebbero molte le cose da dire, da specificare, analizzare e spiegare, ma correrei il rischio di diventare prolissa. Mi limito pertanto alle più importanti, a quelle più indispensabili.
Lasciare intendere che il tè in Giappone è prodotto esclusivamente a Shizuoka è inesatto; in Giappone si coltiva e produce tè in molte altre zone, come Saitama, Mie, Kagoshima, Fukuoka e Kyoto (Uji, Kyotanabe).
Affermare che “sul tè si è costruita una cultura” è quantomai riduttivo: il Giappone ha edificato la sua identità culturale anche attraverso l’arte pittorica, la letteratura, la poesia, la tradizione musicale, la tradizione artistica artigianale della ceramica, il teatro, il cibo, il culto dei fiori.
L’asserzione “il tè giapponese è un tè che si vuole migliore di qualsiasi altro tè” rasenta l’assurdità.
Mi chiedo chi lo voglia, dove lo voglia, perché. È un’affermazione che non significa nulla. Non esiste un tè migliore in assoluto, i criteri di giudizio per definire un tè sono molteplici, spaziano dalla metodologia di raccolta, alla tipologia di lavorazione, alla modalità di consumo, fino ad arrivare al gusto personale. Ci sono varie eccellenze in fatto di tè anche in Cina, a Taiwan, in India e mi sorprende che la Sig.ra Pisu non abbia avuto occasione di scoprirlo, dato che nel corso della sua carriera ha prestato particolare attenzione all’Asia orientale (ma forse non al tè).
La cerimonia del tè non serve a “riassumere la concezione estetica del Giappone”, le simbologie ad essa collegate hanno significati molto più profondi di quelli espressi dalla giornalista.
Il Cha no yu vanta una tradizione antichissima, una produzione letteraria a riguardo estremamente corposa, una lunga dinastia di maestri che vi hanno dedicato la vita; la cerimonia del tè è un’arte, intimamente connessa con la spiritualità.
I suoi principi fondamentali si esprimono attraverso l’armonia tra le persone e la natura, il rispetto verso le cose e la gratitudine per la loro esistenza, la purezza interiore. Durante la cerimonia del tè giapponese si agisce l’uno per l’altro per raggiungere il solo scopo di creare un istante di perfetta armonia.
La ricerca della semplicità è voluta, l’intera cerimonia è un inno alla frugalità (dal luogo in cui si svolge, ai gesti, agli allestimenti, agli oggetti utilizzati); dunque l’affermazione della giornalista “vasellame raffinato, anche se di fattura apparentemente semplice” risulta inadeguata, spicciola, pressappochista, oltre che indicativa di scarsa conoscenza della materia. La sua visione che ne deriva è di pura forma, come del resto l’intera impostazione dell’articolo.
Concludo lasciandovi qualche spunto utile che potete approfondire anche da soli qualora vogliate.
Marco Casolino, autore del libro Come sopravvivere alla radioattività Ed. Cooper, primo ricercatore presso l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) e parte del team del RIKEN, ha redatto due articoli estremamente interessanti nel suo blog che vi esorto a leggere con attenzione: questo datato il 26 giugno e questo datato il 30.
Il comunicato stampa del Ministero giapponese della salute edito il 2 giugno 2011 ha emesso una restrizione della distribuzione degli alimenti (con particolare riferimento al tè) prodotti solo nelle prefetture situate nei pressi di Fukushima: Ibaraki, Kanagawa, Chiba, Tochigi. [se desiderate leggere tutti i dettagli, qui trovate il testo integrale del comunicato].
Nel complesso, pare siano stati effettuati finora più di 3.300 controlli in tutto il Giappone orientale (vi invito a leggere questo documento, con particolare attenzione alle pagine 21-25).
Il 12 maggio 2011 sono stati registrati e comunicati dati allarmanti sulle foglie di tè prodotte a Minamiashigara (e nelle vicinanze dove sono situate anche Odowara, Kiyokawa, Yugawara, Aikawa e Manazuru), nella parte occidentale della prefettura di Kanagawa (a 250 km dalla centrale nucleare di Fukushima). Le misurazioni hanno svelato dai 530 ai 780 becquerels/Kg di cesio radioattivo, mentre i limiti di legge sono fissati a 500 bq/Kg. Il governo centrale ha dunque chiesto alla prefettura, alle amministrazioni municipali e alle cooperative locali di agricoltori di bloccare volontariamente la vendita delle foglie di tè e i primi ad aderire alla richiesta sono stati proprio i contadini che lavorano nelle piantagioni del villaggio di Kiyokawa, i quali hanno iniziato anche ad sradicare le piante di tè.
Se desiderate tracciare nuovamente l’intero percorso di quanto accaduto fino ad oggi, potete leggere i vari approfondimenti che questo sito ha dedicato a Fukushima con un nutrito archivio notizie, un live blogging e un contatto Facebook per continuare a tenersi aggiornati.
Il prossimo passo che muoverò sarà quello di inoltrare il contenuto di questo post, unitamente al documento che contiene tutte le testimonianze delle associazioni, dei colleghi e dei principali produttori giapponesi, presso la redazione de La Repubblica, auspicando il diritto di replica. Qualora non dovessero concedercela, vorrà dire che la Sig.ra Pisu almeno su un aspetto ha ragione, il mondo sta realmente cambiando.
Marilù Ardillo
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