di
Paolo Ermani
04-04-2013
'Decrescita', una parola che a molti non piace, un concetto ancora troppo spesso frainteso. Non è importante come la chiamiamo, scrive Paolo Ermani, Presidente PAEA, in commento ad un articolo del giornalista Furio Colombo, "l'importante è mettere in pratica, per realizzare una società dove il PIL non sia la fede a cui prostrarsi".
In un recente articolo sul Fatto quotidiano si legge una analisi di Furio Colombo, giornalista e scrittore, su crescita e decrescita. Per giustificare in qualche modo il termine crescita cita la solita storia che in natura tutto cresce, anche i bambini, gli alberi, etc. Peccato che non prosegue il ragionamento logico che ci dice che in natura tutto cresce ma non all’infinito, cosa di cui invece il meccanismo della crescita economica imperante necessita. In natura non c’è nulla che cresce all’infinito, quindi il bambino cresce e muore, così come l’albero, etc.
Lo stesso cancro si espande in tutto il corpo ma poi quando muore il corpo, muore anche lui, non si espande all’infinito. E il meccanismo della crescita infinita in un mondo finito è esattamente come il cancro, si espande fino alla morte del mondo e conseguentemente di sé stesso.
E questo piccolo grande particolare, che capirebbe chiunque tanto è banale e lampante, è proprio quello che rende l’attuale meccanismo di crescita economica infinita in un mondo dalle risorse finite, qualcosa di folle, impossibile e suicida.
Bisognerebbe distinguere fra 'crescita in natura' con regole e limiti ben precisi e 'crescita infinita' dell’economia, e le due cose mai dovrebbero essere paragonate visto che non c’entrano assolutamente nulla l’una con l’altra.
Colombo cita poi chi sta nella parte salva del mondo, cioè dove la crescita produce opulenza, senza citare il fatto che questa opulenza è figlia di uno sfruttamento pesante di persone e ambiente nei vari paesi di appartenenza e ancora più pesantemente in tante altre parti del mondo, quindi se si considera il genere umano come un tutt’uno il sistema della crescita è fallimentare in toto anche da questo punto di vista.
Che qualcosa non gli torni del suo stesso ragionamento sulla crescita, Colombo se ne accorge forse involontariamente, quando cita il caso delle automobili dove è evidente che non si possano vendere automobili all’infinito se non altro perché non sappiamo più dove metterle già adesso.
Non piace il termine decrescita? Come la si voglia chiamare a mio avviso non è particolarmente importante, molto più importante è mettere in pratica una società della decrescita o della post-crescita, o della a-crescita, comunque una società dove il PIL (anche quello tinteggiato un po’ di verde) non sia la fede e il dio a cui prostrarsi.
Colombo prosegue scrivendo di una futura e auspicabile immaginazione al potere, come se le alternative praticabili, i modi, il lavoro che va in una direzione di un mondo “bello e desiderabile” siano qualcosa di là da venire, un araba fenice, un sogno. L’Associazione PAEA ed altri soggetti simili, da anni praticano, lavorano e propongono progetti concreti che dimostrano che un’altra strada è possibile ma non abbiamo sponsor di case automobilistiche, milioni di euro dallo Stato, grandi media per poterlo sbandierare ai quattro venti e quindi lo stesso Colombo evidentemente non ne è al corrente. Nella nostra povertà di mezzi economici ma ricchezza di contenuti, continuiamo a costruire; e prima o poi volenti o nolenti si dovranno fare i conti con la realtà e allora, le analisi, le teorie, gli intellettualismi, le chiacchiere, le zuffe per il potere, lasceranno il passo ai fatti concreti. Nel frattempo consiglio a Colombo due libri: Pensare come le montagne e Ufficio di Scollocamento, dove troverà tutte le indicazioni pratiche per la realizzazione di una nuova società senza aspettare fantomatiche immaginazioni al potere.
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