di
Lucia Russo
14-03-2011
Artista catanese di terza generazione, figlio di un maestro scultore, nipote di un futurista, autore del bozzetto di una scultura per Lady Diana e Dodi Al Fayed al Ritz, dieci anni fa Giovanni Girbino avviava in un quartiere scomodo di Catania un progetto di vita a tutto tondo.
Le valigie in cerca di lavoro, lui, non le ha fatte. Piuttosto, le ha disfatte in seguito a quei giri che dopo la maturità classica lo avevano portato fin in Senegal e a Parigi. Il mestiere lo aveva appreso fin da piccolissimo, alla bottega del padre Domenico, un apprezzato maestro scultore autore di tante opere decorative di piazze, chiese e cattedrali della provincia di Catania.
La porta laterale del Duomo di Taormina, ad esempio, l’ha forgiata proprio Giovanni, insieme a suo papà, artefice di quella centrale. Anche il bozzetto della testa di lady Diana e Dodi Al Fayed, per il Ritz di Parigi, esce dalla mano di questo trentottenne catanese, anni prima di virare inaspettatamente sulla sua città.
Da passanti, il primo sobbalzo all’attenzione lo suscita un reticolo di piccoli fiori bianchi e tralci sottili, steso sull’intera facciata dello stabile angolato tra via Auteri e il Vicolo della Lanterna, in un quartiere storico della vecchia Marina. Sembra essere cresciuto da chissà quanti anni, e invece, quel rampicante venuto su così rigoglioso come per mano di un abilissimo giardiniere, sapremo dopo che ha appena sette anni di vita. Un falso centenario, che chiameremmo d’autore, perché chi l’ha piantato insinuandolo tra le basole laviche del marciapiede, è uno scultore. Il nome affisso alla porta ci sorprende. Giovanni Girbino e la sua compagna francese Patrizia hanno pensato di rinominare in dialetto le origini proprietarie del palazzo ottocentesco: Palazzu Stidda (Palazzo Stella). Legalmente, è il marchio depositato per la struttura di ricezione turistica di loro creazione. Nei propositi, molto di più.
La singolarità, prerogativa degli artisti, nella vita raccolta attorno a questo palazzo, si manifesta in varie forme. Originalità di scelte estetiche, di vita, di senso civico, d’impegno e amore per la propria terra. Una passione tenace, a prova di botte e conseguente coma, fortunatamente superato e lasciato alle spalle o almeno sulla cronaca che il 5 ottobre 2010 registrò l’aggressione a Giovanni, scultore trapiantato nel quartiere storico e popolano del Castello Ursino di Catania dopo avere acquistato e recuperato nel 2001 un antico stabile degradato quasi come al tempo era la zona. L’hanno malmenato perché ha cercato di evitare lo scippo a due turisti. Ma proprio di brutto! Solo l’intervento di un vicino di casa l’ha sottratto ai colpi in testa che stavano per fermare il suo respiro. Nel 2010, il premio di Cittadino Esemplare conferitogli dall’ex sindaco Enzo Bianco, ma non è da lui che apprendiamo la notizia, quanto dalla stampa.
Quando comprò l’edificio a fianco del quale sorse poi Palazzu Stidda, Giovanni rientrava nella sua città dalla permanenza di un anno a Noto (SR). Ma, per quanto catanese e figlio d’arte da generazioni, questo giovane aveva la pecca di non essere del quartiere. Cresciuto in un altro angolo urbano, che guarda più all’Etna che non al mare, per quelli di qui, era uno che veniva da fuori. A un passo dal Duomo, dalla rinomata e folcloristica pescheria, dalle vie Garibaldi e Vittorio Emanuele con i loro palazzi settecenteschi, dal Teatro Romano, come dal trecentesco Castello Ursino.
Vicinissimi al porto, sostituto moderno dell’antica marina, dove la città ha visto nascere uno dei suoi primi aggregati urbani, e il tessuto umano tiene le sue maglie fitte attorno ai nativi. Il Comune è immobile e squattrinato da alcuni anni, ma pur senza una regia pubblica, in città c’è un rigoglio di privati, piccoli e medi, che promuovono l’arte e l’architettura proprio nei quartieri più antichi, prima inaccessibili, quasi 'proibiti' a chi veniva da fuori, come Giovanni.
Insieme a un mastro e un pittore, e alla sua compagna, creatrice di decori per bambini, lui ha ristrutturato prima la casa acquistata come abitazione e poi, lo stabile attiguo, divenuto nel 2008 un apparthotel.
“Lo abbiamo pensato come base ideale di turisti che vogliono davvero scoprire e visitare agevolmente le bellezze della città, non di sfuggita o dal bus stile Londra che il Comune ha approntato. Le guide turistiche, specie quelle internazionali, definiscono Catania come un sito di passaggio. Ma i professionisti e gli stranieri che qui ospitiamo sono unanimi nel definirla invece un museo a cielo aperto, la cui visita richiede giorni. E questo, è un punto ottimale di osservazione e di facile esplorazione a piedi”. Così ci dice Giovanni, quando lo intervistiamo per sapere dei dettagli della sua impresa.
Perché, gli chiediamo, sei venuto a vivere e investire qui tutto quello che avevi?
In realtà, io volevo andare a vivere in campagna. Passavo per caso, e la visione di questo palazzo mi ha rapito. Con Patrizia, ho deciso di cambiare programma e la nostra vita ha preso tutto un altro corso.
A quando risalgono gli stabili e com’erano quando li hai acquistati?
Rispettivamente al Settecento il primo e Ottocento il secondo. Ho dovuto smantellare e rifare tutto. In questi anni, ho lavorato solo su questo.
Mentre giriamo tra i locali di Palazzu Stidda, lo scopriamo come un regno dell’eco-design. Quello che non acquista nulla e reinventa ogni cosa. La strada, la spiaggia, i rifiuti del quartiere o di altre parti della città sono le fonti delle materie prime utilizzate. Travi, arredi della scuola, mobili dismessi, riutilizzati e assemblati a nuova vita, dai chiodi, ai vetri, al legno, alle lavagne. Non trapelano orientamenti architettonici o stilistici.
Solo l’inventiva, l’aderenza alla natura dei materiali, un valore estetico e funzionale dato alle cose più povere dal gusto e l’ingegno di due giovani, e su tutto, un tono delicato che si stende insieme alla luminosità delle stanze. Scorgiamo però un rimando letterario. Mirate sempre alla Luna... anche se la mancate, atterrerete tra le stelle. La frase, di Les Brown, Giovanni e Patrizia l’hanno scelta e affissa su un muro, come motto della casa.
Quali ostacoli hai incontrato in quest’attività da artista-artigiano ormai decennale?
A parte l’aspetto edile, abituare i vicini ad alcune regole di civiltà e rispetto che ritengo facili da mettere in pratica. Io ho piantato dei gelsomini in strada a fronte dello scetticismo generale dei vicini. Vedi il risultato? Il verde ha cambiato un angolo di strada.
Quanto è stato impegnativo tutto questo… e ci campi?
Diciamo, che alla fine il messaggio è arrivato. Per il resto, recupero le spese.
Sei stato da poco premiato da Compro siciliano insieme ad altri giovani imprenditori della città, anche per la scelta di restare, anziché cercare fortuna altrove. Nel tuo caso, è d’obbligo parlare di coraggio!
Per me, l’aggressione è una storia passata. Sono qui perché ho fiducia. Vedo già dei cambiamenti nella città e nel quartiere, più sicuro e vivibile.
Tu nasci scultore, ma a Palazzu Stidda hai sviluppato più di un’arte. Cos’è per te, essere artista?
L’artista per me, più che dare forma al malessere dell’esistenza, deve creare bellezza, nelle cose, sul territorio, fra la gente, nella vita, propria e altrui.
Qual è il tuo rapporto con la gente della zona?
Ormai Patrizia ed io siamo stati accolti e accettati. Noi vorremmo aprirci ancor più, in parte già lo facciamo, agli altri. Ci piacerebbe fare un laboratorio artistico per i bambini, avanzare delle proposte turistiche che valorizzino il costume locale, privandolo alla clandestinità.
Un esempio concreto?
Le corse dei cavalli. Qui c’è una grande tradizione di allevamento. Questa gente cura i cavalli come figli. Perché non istituire un palio regolarizzato dal comune, o un servizio di visite turistiche in calesse?
Se qualcuno accogliesse la vostra proposta e volesse mettersi in contatto con voi per realizzare questa o un’altra idea, sareste disposti a fare rete?
Certo! Credo che nessuno, mai, realizzi qualcosa di veramente valido senza il concorso di altri.